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Il lusso non tira più? Spazio all’ultra-lusso, va a gonfie vele

Keystone-SDA

Mentre il settore del lusso quest'anno non riesce a crescere, a causa del contesto economico globale, il segmento dell'ultra-lusso, quello cioè accessibile solo a circa il 2% dei clienti, sta vivendo un boom invidiabile.

(Keystone-ATS) I ricchi (quelli veri) si mostrano imperturbabili di fronte alla crisi e pronti a sborsare somme astronomiche in cambio di prodotti eccezionali, acquistati attraverso un servizio esclusivo.

“Il comparto sta vivendo un momento molto positivo, grazie in particolare alla dinamica demografica e alla distribuzione della ricchezza”, spiega all’agenzia Awp Arthur Jurus, responsabile degli investimenti della banca privata Oddo BHF Suisse. “Il numero di ultra-ricchi, ovvero persone che possiedono più di 30 milioni di dollari (24 milioni di franchi al cambio attuale) è aumentato di oltre il 6% nel primo semestre del 2025 e, secondo le previsioni, l’incremento raggiungerà il 30% entro il 2030”.

E questi Paperoni, ogni giorno più ricchi, si dimostrano sempre più affezionati a oggetti o beni unici, che si tratti di moda, gioielleria, orologeria, automobili, nautica da diporto o arte. Le attuali turbolenze economiche non modificano infatti assolutamente il loro comportamento di spesa, osserva l’esperto.

Quelli che i venditori chiamano VIC (“very important clients”) spendono infatti fra 50’000 euro e 1 milione all’anno in prodotti di lusso, con una media di circa 300’000 euro (280’000 franchi), secondo uno studio del 2024 di Boston Consulting Group e della fondazione Altagamma, che riunisce i marchi di lusso italiani.

“Rappresentano solo il 2% dei clienti del ramo del lusso, ma circa il 40% del fatturato”, sottolinea Guillaume des Rotours, responsabile settoriale presso la società di consulenza KPMG. La crescita “è chiaramente correlata all’aumento dei livelli di prosperità”. A suo avviso, ciò illustra “un fenomeno di crescente polarizzazione del settore”.

La situazione fa felici marchi emblematici come Hermès, Chanel o Cartier. “L’alta moda, dove un abito può costare ben oltre 100’000 euro, così come l’alta gioielleria, vanno molto bene nonostante i prezzi”, spiega Des Rotours.

Ma non è quindi nell’interesse dei marchi riposizionarsi nella fascia alta del mercato? I grandi gruppi del lusso preferiscono sviluppare il loro segmento “high end”, continuando a rivolgersi a diversi tipi di clientela, risponde Nicolas Rebet, specialista in strategia del commercio di alta gamma e fondatore della società di consulenza Retailoscope. Per raggiungere questo obiettivo, le maison corteggiano i VIC offrendo loro diverse esperienze personalizzate al fine di fidelizzarli. “I marchi organizzano eventi, cene o mettono a disposizione boutique a loro esclusivamente dedicate, dove vengono ricevuti solo su invito”.

Anche Jurus osserva che il lusso più accessibile non viene per questo trascurato. “Lo vediamo ad esempio in LVMH, che si posiziona nell’ultra-lusso con l’alta moda, attraverso marchi come Dior o Louis Vuitton, e che per il resto lavora maggiormente sulla gamma entry-level per aumentare il volume e attirare nuovi clienti”.

Per Des Rotours, il ruolo assunto dal segmento di altissima gamma rimane comunque cruciale, poiché da esso dipende l’immagine di prestigio e artigianalità del marchio. “L’alta moda non è forse la parte più importante dell’attività commerciale di una maison, ma ne è l’immagine: è lei che veicola i codici essenziali, quelli che definiscono il marchio, il suo stile, quelli che saranno declinati nel prêt-à-porter”, afferma. “Il lusso di altissimo livello è un savoir-faire straordinario, è ciò che fa sognare”.

Nell’orologeria svizzera, “questi codici, a volte centenari, aumentano il desiderio verso il marchio e l’attesa di un prodotto straordinario”, osserva il suo collega Fabien Perrinjacquet, responsabile della regione di Neuchâtel, Giura e Giura bernese presso KPMG. La produzione di alcuni orologi di lusso può richiedere diversi anni, ricorda.

Il fascino di un marchio contribuisce quindi al suo successo anche nei segmenti più accessibili e non trascurabili in termini di ricavi. Non si può ignorare il 60% del fatturato attribuibile al lusso più accessibile, sottolinea M. des Rotours. “La bellezza, i cosmetici, i profumi, gli occhiali sono elementi essenziali: perché se si propongono subito prodotti estremamente costosi i clienti non entreranno mai nel negozio”.

Rebet fa anche presente che “gli ultra-ricchi non consumano solo prodotti di altissima gamma, solo il 15% circa di loro lo fa: possono benissimo mescolare i marchi e indossare Nike”. I VIC rimangono comunque importanti, in un contesto geopolitico poco favorevole a livello globale: i ricavi mondiali sono attesi stabili a 1440 miliardi di euro, secondo i dati della società di consulenza Bain & Company.

Che cosa dire infine dell’intelligenza artificiale (IA)? “È uno strumento al servizio della personalizzazione del rapporto con i clienti”, risponde Des Rotours. “Alcune applicazioni possono, ad esempio, aiutare il venditore a individuare quale cliente sarà interessato a un determinato argomento o prodotto e trasformarlo in una sorta di venditore potenziato”. C’è però un ma: “I clienti del settore del lusso estremo non vogliono essere trattati come chiunque altro: l’IA non deve essere utilizzata in modo sconsiderato, quindi la sfida rimane sempre la qualità del personale di vendita e delle sue decisioni”.

Secondo Rebet l’intelligenza artificiale può essere perfettamente utilizzata per gli obiettivi di marketing di un marchio, ma è comunque il rapporto commerciale umano che continua a fare la differenza. “L’essere umano deve prendere il testimone, incarna il marchio e il cliente si aspetta che qualcuno sia dedicato a lui, un servizio personalizzato e una relazione di qualità. È assolutamente inevitabile”.

“Quando si entra in un negozio o in un salone, ci si deve sentire a casa, si parla quindi di ospitalità”, gli fa eco Des Rotours. “Non è una sorpresa, poiché l’accoglienza è un elemento essenziale del lusso”, osserva. “A volte è necessario passare due o tre ore con il cliente a parlare del più e del meno e sicuramente non del prodotto. Ed è questo che creerà un rapporto molto più fedele con il marchio”, conclude lo specialista.

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