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Lavoro nero in Ticino: un giro di affari da 1 miliardo di franchi

E' soprattutto nei settori della ristorazione, dell'edilizia, dell'artigianato e dell'agricoltura che si registrano i casi più consistenti di lavoro nero Keystone

La Camera di commercio ticinese (Ccia-Ti) lancia l'allarme: l'economia sommersa ha raggiunto livelli di guardia. In Ticino non esistono a tutt'oggi studi specifici su questo fenomeno, ma secondo la Ccia nel cantone il volume delle attività nell'economia sommersa si aggira attorno ad 1 miliardo di franchi. Ed è una stima calcolata per difetto. Gravi le conseguenze per le imprese che operano correttamente, per il fisco e per gli stessi lavoratori.

In Svizzera negli ultimi cinque anni il lavoro nero è aumentato del 25 percento, raggiungendo nel 2000 la quota dell’8,9 percento del Prodotto interno lordo, ossia un valore di circa 35 miliardi di franchi. Per la Camera di commercio si tratta ormai di un “gioco a somma negativa”, che può provocare una pericolosa distorsione della concorrenza e mettere in pericolo la pace sociale.

Un’evoluzione ancora più preoccupante si registra nel canton Ticino, dove non esistono strumenti adeguati per monitorare e controllare una realtà sfuggente come quella dell’economia sommersa e proporre le giuste soluzioni.”Il lavoro nero ha pesanti effetti negativi per le finanze pubbliche e produce molti pericoli per gli occupati sottoposti ad una pressione salariale supplementare e a rapporti d’impiego precari” ha sottolineato Raffaella Sartorelli presentando alla stampa martedì l’analisi della Ccia per combattere l’economia sommersa. “Inoltre – ha aggiunto – si penalizzano le aziende che rispettano la legge e sono costrette a subire una concorrenza sfrenata da parte di coloro che sfuggendo agli obblighi fiscali e sociali offrono prezzi più bassi”.

A giudizio della Camera di commercio, il fenomeno è il risultato di disfunzioni di natura politica ed economica, quali l’elevato carico fiscale e sociale, l’eccesso di burocrazia, l’aumento dei costi e l’imposizione di regole che frenano la produttività delle piccole e medie imprese. Perciò la Ccia chiede alle autorità cantonali una maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro, soprattutto per il rilascio dei permessi di lavoro dei frontalieri.

La lotta contro l’economia sommersa, sostiene la Ccia, deve fondarsi su una strategia che combini assieme informazione, prevenzione e repressione, ma insistendo nello stesso tempo sulla “sburocratizzazione” delle assunzioni di breve termine, su chiamata per occasioni particolari. Ciò è di particolare importanza in Ticino, cantone turistico in cui i settori più toccati dal “nero” sono quelli edile-artigianale, alberghiero e della ristorazione.

Sulle misure da mettere in campo, la Ccia avverte che non esiste una soluzione ideale valida per tutti i cantoni e che sono necessari, invece, degli interventi differenziati e adattati alle caratteristiche delle singole regioni. Poco efficace per la Camera di Commercio ticinese si è rivelata la sola collaborazione tra sindacati e padronato per arginare l’impiego illegale.

Una collaborazione che andrebbe estesa anche ai rappresentanti dello Stato ed, eventualmente, alla Suva, l’Istituto nazionale svizzero contro gli infortuni. In Ticino, suggerisce la Camera di Commercio, si potrebbe affidare questo compito di controllo e di coordinamento alla Commissione tripartita che deve vigilare sulla libera circolazione delle persone prevista dagli accordi con l’Unione Europea.

Libero D’Agostino

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