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Per rendere l’agricoltura sostenibile serve più buon senso che intelligenza artificiale

Jürn Sanders & Adrian Müller

Le sfide principali dei sistemi agroalimentari non possono essere risolte con l'intelligenza artificiale e le tecnologie digitali.

Di recente, abbiamo incontrato alcune professioniste e professionisti che lavorano con l’agricoltura biologica durante una giornata dedicata a questo settore, dove molte di loro hanno lodato la salute dei propri terreni. Quando abbiamo introdotto il tema dell’agricoltura rigenerativa – un concetto che promuove sistemi agricoli sostenibili focalizzati principalmente sulla salute del suolo – alcuni tra questi agricoltori e agricoltrici hanno mostrato scetticismo nei confronti di questa “parola d’ordine”. Sostenendo che l’agricoltura biologica stessa rigenera già i terreni, hanno ribadito che l’agricoltura rigenerativa non rappresenta una novità: simili pratiche erano in uso secoli fa. Per loro, parlare di “vendere vino vecchio in bottiglie nuove” è un chiaro errore. Hanno anche sollevato preoccupazioni riguardo al rischio di “greenwashing” e a strategie commerciali che rischiano di svuotare di contenuto il movimento biologico, ricalcando pratiche già consolidate. 

Altri agricoltori che abbiamo intervistato guardano all’agricoltura rigenerativa con maggiore favore, vedendo in essa un’opportunità per migliorare e mantenere la fertilità del suolo. Consapevoli che in molti casi si potrebbe fare di più per mantenere i terreni sani, accolgono positivamente qualsiasi iniziativa che ponga l’accento sulla centralità dei suoli. 

Entrambe le posizioni sono giustificabili. Dibattere su queste terminologie, però, non sempre risulta produttivo. Ciò che è indiscutibile è che terreni sani sono fondamentali per l’agricoltura, e chi ci lavora ha la competenza per curarli e proteggerli. Purtroppo, queste conoscenze non sempre vengono applicate e non tutti adottano pratiche volte a prevenire il degrado del suolo. 

Tecnologia o buon senso?

Una delle soluzioni proposte è l’adozione di innovazioni digitali come la robotica, l’intelligenza artificiale (IA) e il telerilevamento. Ma anche su questo fronte le opinioni si dividono. Alcuni tra agricoltrici e agricoltori appoggiano l’introduzione di tecnologie avanzate, come la concimazione di precisione, la protezione delle piante mirata, la mappatura del suolo e l’uso di dispositivi robotici leggeri che lavorano il terreno con il minimo impatto. 

Altri, però, chiedono più buon senso che intelligenza artificiale. Un agricoltore, ad esempio, ha sollevato un paragone con l’estrazione della lignite, un processo altamente inquinante, e si è chiesto: “Ha senso estrarre questo carbone con macchine alimentate da energia rinnovabile?”. Forse no. Forse la soluzione migliore sarebbe quella di abbandonare del tutto l’estrazione della lignite. Questo tipo di logica può essere applicata anche all’agricoltura. 

Un altro agricoltore ci ha parlato di una collaborazione tra McDonald’s, il produttore di carne Lopez Foods e Syngenta per rendere la produzione di carne bovina più sostenibile, alimentando i bovini con una varietà speciale di mais. Secondo questo agricoltore, si tratterebbe di un buon esempio di approccio olistico. L’agricoltore ha poi fatto riferimento a una dichiarazione di Jeff Rowe, amministratore delegato di Syngenta, secondo cui il “principio guida dell’azienda non è vendere prodotti, ma sviluppare soluzioni che aiutino il settore agricolo a produrre in modo sostenibile cibo sano per la società”. 

Altri sviluppi

A nostro avviso, si tratta di una narrazione poco convincente. L’intento dichiarato di “rendere l’agricoltura più sostenibile” sembra contraddetto dalla realtà: come può una carne alimentata con mais geneticamente modificato contribuire a un sistema agroalimentare davvero sostenibile? Il focus sembra essere sul profitto delle aziende, piuttosto che sulla reale sostenibilità, mentre i costi nascosti legati all’inquinamento ambientale, al benessere animale e alla salute pubblica ricadono sulla società. 

Nessuno degli agricoltori con cui abbiamo parlato considera la carne bovina alimentata a mais come una soluzione sostenibile per il futuro dell’agricoltura. L’intelligenza artificiale può certamente ottimizzare la produzione di carne, ma il buon senso suggerisce che questa strada non sia la migliore. 

L’intelligenza artificiale e il buon senso

Sebbene l’intelligenza artificiale non sia in grado di comprendere il contesto globale, è molto abile nell’identificare modelli all’interno di grandi volumi di dati. Per esempio, l’IA può essere utile nel monitoraggio delle condizioni meteorologiche, climatiche o del terreno, individuando segnali di parassiti imminenti o carenze nutrizionali in determinati terreni. 

D’altra parte, l’IA è meno utile quando i dati sono scarsi o difficili da raccogliere, come nel caso delle pratiche agricole più adatte a favorire il sequestro del carbonio nel suolo. In questi casi, le conoscenze tradizionali di chi pratica l’agricoltura biologica o altre tecniche agroecologiche, possono risultare più efficaci di modelli basati su dati di difficile interpretazione. 

In ogni caso, il buon senso continua a essere uno degli strumenti più potenti quando si tratta di prendere decisioni complesse. Ad esempio, quando si tratta di produttività agricola, siamo più interessati a ottimizzare le rese attraverso rotazioni colturali sostenibili che a perseguire la massima efficienza con un singolo prodotto. In quest’ottica, la carne bovina alimentata a mais avrebbe un ruolo marginale, mentre un sistema che prevede ruminanti alimentati a erba, come parte di un ciclo agroalimentare circolare, rappresenta una scelta molto più coerente. 

In conclusione, l’agricoltura sostenibile si fonda su conoscenze consolidate, che si possono certamente arricchire con il supporto dell’intelligenza artificiale, ma la tecnologia non può sostituire il giudizio umano. I punti cruciali per una vera trasformazione agroalimentare sono già noti: terreni sani (come promuovono l’agricoltura organica e rigenerativa e l’agroecologia), meno fertilizzanti laddove l’eccedenza di nutrienti è elevata, come in tutti i Paesi industrializzati, rotazioni colturali ottimizzate, varietà di colture adattate a livello locale, nessuna produzione di mangimi sui terreni coltivati oltre il fabbisogno agronomico e riduzione dei rifiuti alimentari. 


A cura di Virginie Mangin e Anand Chandrasekhar

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