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L'ambasciatrice Christine Schraner Burgener rappresenta la Svizzera in Germania Keystone

Christine Schraner Burgener è da cento giorno l'ambasciatrice di Svizzera a Berlino. La 52enne, che succede a Tim Guldimann, in precedenza ha diretto la rappresentanza diplomatica elvetica a Bangkok. Un mandato che inizialmente aveva condiviso con il marito. La giurista assume il nuovo compito in Germania in un periodo turbolento.

swissinfo.ch: Oggi è una giornata fredda e piovosa a Berlino. Le manca già la Thailandia?

Christine Schraner: Sinceramente, no. Il mio motto è sempre: essere presente al cento per cento dove sono e non guardare indietro, bensì avanti. Del resto nella mia professione lo devo fare. Mi immagino sempre di rimanere in eterno nel luogo in cui mi trovo. Ciò finora ha funzionato bene.

swissinfo.ch: Proprio accanto all’ambasciata Angela Merkel governa nella Cancelleria federale tedesca. Che impressione le fa?

C. S.: Quando la cancelliera è stata a Berna in settembre, in qualità di membro della delegazione svizzera l’ho accompagnata per tutta una giornata. È stato un inizio formidabile. In questo senso, ci conosciamo già. La stimo molto.

Christine Schraner Burgener

Nata il 25 settembre 1963 a Meiringen, nel canton Berna, ha trascorso i primi dieci anni di vita a Tokyo, dove suo padre lavorava per la Swissair.

Nel 1973 è rientrata in Svizzera. Dal 1983 al 1988 ha studiato diritto all’università di Zurigo.

Nel 1991 è entrata a far parte dei servizi diplomatici del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Dal 1993 al 1997 è stata vicecapo della Sezione per i diritti umani.

Dal 1997 al 2001 ha condiviso con il marito il posto di consigliere d’ambasciata a Dublino.

Dal 2001 al 2003 è stata la responsabile della Sezione Politica dei diritti umani.

Nel 2009 è diventata ambasciatrice svizzera a Bangkok, mandato che ha esercitato fino al 2012, in condivisione con il marito. Christine Schraner Burgener era responsabile per la Thailandia, suo marito per la Cambogia, il Laos e Myanmar. Sono stati i primi a praticare il job sharing a livello di ambasciatori.

Christine Schraner Burgener ha due figli (di 16 e 19 anni). È membro del Partito socialista svizzero (PS).

(Fonte: DFAE)

swissinfo.ch: Lei ha cominciato a Berlino in un periodo turbolento: la crisi dei rifugiati e gli attacchi terroristici di Parigi assillano la Cancelleria in ordine così come i comuni cittadini. Che impressione ha dell’atmosfera che c’è in Germania?

C. S.: Sono davvero settimane emozionanti. Nella Cancelleria spesso le luci sono accese fino a notte tarda. Nei dintorni dell’ambasciata svizzera vi sono state continuamente dimostrazioni, perché nelle immediate vicinanze c’è anche il Bundestag. Mi ha stupito quanto spesso venga manifestato a Berlino rispetto alla Svizzera. Presumibilmente ciò è anche legato al fatto che noi con la democrazia diretta abbiamo altri modi per fare ascoltare la nostra voce.

swissinfo.ch: Le autorità di Berlino sono state molto criticate per le condizioni caotiche nella registrazione e nella sistemazione dei profughi. La Svizzera può contribuire con le proprie esperienze e indicare delle soluzioni?

C. S.: Noi abbiamo già alle spalle il processo di apprendimento che la Germania sta attualmente attraversando e siamo ben disposti a condividere le nostre esperienze. L’Unione europea ne sta già copiando alcune: i centri svizzeri di accoglienza alle frontiere, dove i profughi devono essere registrati e ripartiti tra i Cantoni, servono probabilmente da modello per gli hotspot previsti ai confini esterni di Schengen.

Procedure rapide sono essenziali. I richiedenti asilo che provengono da un paese di origine sicuro sono esaminati entro 48 ore. E alla fine, siamo coerenti nei rinvii: le persone la cui domanda d’asilo è stata respinta devono lasciare la Svizzera, per aumentare le opportunità di chi ha veramente bisogno di protezione di riceverla. Continuiamo ad avere un tasso di protezione elevato: il principio principale è il rispetto della Convenzione sui rifugiati delle Nazioni Unite. Il fatto che abbiamo attuato le nostre misure con coerenza, ha fatto diminuire il numero di richieste.

swissinfo.ch: Il trattamento delle domande d’asilo è solo il primo passo: In termini di politica di integrazione, Berlino cosa potrebbe copiare da Berna?

C. S.: A differenza della Germania, la Svizzera è sempre stata un paese di immigrazione. Lo si vede chiaramente nelle città. Basilea e Zurigo mi sembrano molto più multiculturali di Berlino. Il 33 per cento dei nostri cittadini ha un background migratorio.

Abbiamo imparato che è importante integrare rapidamente gli immigrati nel mercato del lavoro, inviare velocemente a scuola i bambini e abbiamo potuto evitare la ghettizzazione in molti luoghi. Con ciò non voglio però dire che in Svizzera non ci sono problemi e una crescente resistenza da parte della popolazione.

swissinfo.ch: Il che ci porta alla prossima questione: l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa” resta il tema scottante nelle relazioni tra la Svizzera e l’UE, e quindi anche con i vicini tedeschi. Il governo svizzero ha annunciato l’intenzione di controllare tramite una clausola di salvaguardia l’immigrazione di persone soggette all’accordo sulla libera circolazione con l’UE. Le modalità concrete dovranno essere chiarite d’intesa con Bruxelles. Pensa che l’UE acconsentirà?

C. S.: Le consultazioni con la Commissione europea sono in corso. Entrambe le parti hanno interesse a trovare una soluzione. Capisco che la libera circolazione per Bruxelles abbia un grande valore; anche quando ci sono cambiamenti, affinché non ci siano emuli. Senza una soluzione a Bruxelles, Berna dovrebbe comunque attuare l’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa” tramite un’ordinanza, rispettivamente introdurre unilateralmente una clausola di salvaguardia. Non è chiaro come reagirebbe l’UE.

swissinfo.ch: L’annuncio della clausola di salvaguardia mette l’UE ulteriormente sotto pressione. È il modo giusto per giungere a una soluzione? Oppure una possibilità sarebbe una nuova votazione con premesse diverse?

C. S.: Non possiamo votare di nuovo sulla stessa domanda, ma dobbiamo attuare la volontà della maggioranza. Se si dovesse arrivare ad una votazione in circostanze diverse, i cittadini dovrebbero avere la possibilità di informarsi su cosa significherebbe per la Svizzera una sospensione degli accordi bilaterali.

Studi recenti mostrano che la loro fine potrebbe avere conseguenze negative per la Svizzera. Su questo punto, le cerchie economiche sono chiamate a comunicare chiaramente. Il tempo stringe davvero. Come detto, sono in corso sono in corso consultazioni tra la Svizzera e la Commissione europea per trovare una soluzione. Spero vivamente che ci riescano.

swissinfo.ch: I contingenti concernerebbero anche i pendolari transfrontalieri del vicino Baden-Württemberg…

C. S.: Sì, anche per questo motivo la voce dell’economia svizzera nel dibattito è importante. Ha bisogno di questo personale qualificato.

swissinfo.ch: In queste settimane nelle sale cinematografiche tedesche è proiettato il nuovo film su Heidi, che comprende meravigliose vedute delle Alpi. Queste immagini sono incentivi od ostacoli nell’autorappresentazione della Svizzera.

C. S.: Per quanto riguarda il turismo, che è un fattore economico significativo, sono importanti. Sono cresciuta in Giappone. Ai giapponesi piacciamo per queste immagini. Ma dobbiamo anche presentare il volto di una Svizzera innovativa e moderna. Il nostro paese è campione mondiale dell’innovazione, sede della ricerca d’avanguardia e di imprese internazionali. La gente dovrebbe mettere anche questo in relazione con la Svizzera. Montagne, formaggio e orologi danno solo una visione insufficiente.

swissinfo.ch: Un’immagine più moderna della Svizzera l’hanno perlomeno i vicini del Baden-Württemberg che da anni si battono contro il rumore degli aerei di Zurigo-Kloten. L’accordo internazionale negoziato nel 2013 non è ancora ratificato da parte tedesca.

C. S.: Anche qui dobbiamo trovare una soluzione. La Svizzera ha ratificato il trattato, non lo vogliamo riaprire. In colloqui del Baden-Württemberg, ho constatato quanto spazio occupa l’emozionalità nel conflitto. Sarebbe utile riportare chiaramente in primo piano i fatti.

La sfida è che il rumore viene percepito molto soggettivamente. Lo so per esperienza personale, poiché la casa dei miei genitori si trova nel corridoio di avvicinamento, a soli 15 chilometri dall’aeroporto. Anche lì, i residenti protestano contro il disturbo, colpisce non solo i tedeschi. Tuttavia, il maggior rumore si concentra – studi lo dimostrano – nei pressi dell’aeroporto sul territorio svizzero.

swissinfo.ch: Le persone del Baden meridionale la pensano diversamente. Non si fidano di cifre e comunicati ufficiali.

C. S.: Un aeroporto genera indiscutibilmente rumore, ma serve l’intera regione transfrontaliera. Kloten è molto utilizzato anche da tedeschi. Il 14 per cento dei passeggeri che atterrano a Kloten, proseguono poi il volo verso la Germania. È un importante fattore economico per le compagnie aeree tedesche. I cinque più grandi vettori dello scalo zurighese sono tedeschi, tra cui Swiss, Airberlin ed Edelweiss. Trasportano i due terzi dei passeggeri. All’aeroporto di Kloten lavorano 700 persone residenti in Germania.

Mi auguro che entrambe le parti cerchino apertamente di arrivare ad una soluzione. Desidererei gettare ponti tra le due posizioni.

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