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Colpo diplomatico di Trump, ora sogna la storia

Keystone-SDA

Donald Trump ha raggiunto il più grande risultato diplomatico del suo secondo mandato e forse della sua storia alla Casa Bianca.

(Keystone-ATS) Il successo nell’impresa in Medio Oriente rappresenta per lui la prova definitiva per accreditarsi come mediatore e pacificatore e spianargli la strada verso il premio Nobel per la Pace che tanto ambisce ma che difficilmente otterrà, almeno quest’anno. Sarebbe il quinto presidente americano a riceverlo – oltre al vicepresidente ambientalista Al Gore e al segretario di Stato Henry Kissinger – e sicuramente il più controverso.

Ma molto potrebbe andare storto nei prossimi giorni e anni in Medio Oriente, come spesso accade, e l’accordo annunciato mercoledì sera potrebbe rivelarsi l’ennesima tregua temporanea in una guerra iniziata con la fondazione di Israele nel 1948 e mai terminata. Per non parlare del fatto che, come ha sottolineato Thomas Friedman in un’analisi sul New York Times, mantenere insieme i pezzi della pace negli anni a venire sarà come cercare di risolvere il cubo di Rubik mentre i pezzi stessi si sgretolano. E quindi bisogna chiedersi se l’amministrazione Trump avrà l’attenzione, l’energia e la concentrazione necessarie ogni giorno per mantenere sulla buona strada una soluzione così fragile.

Per il momento il tycoon e il suo team di negoziatori – la strana coppia formata dal genero Jared Kushner, già architetto degli accordi di Abramo con affari miliardari nel Golfo, e l’inviato ufficiale Steve Witkoff – si godono il loro trionfo, mentre nel mondo tutti si interrogano come sia riuscito The Donald a passare dal piano, al limite del macchiettistico, della Riviera di Gaza, ad una proposta ben strutturata in 20 punti che ha convinto sia Israele che Hamas. Fondamentale è stato il coinvolgimento degli arabi: non solo l’Egitto e l’Arabia Saudita ma soprattutto il Qatar e la Turchia che tengono le redini del gruppo militante palestinese. Anche giocare la carta Tony Blair è stato un colpo da maestro del tycoon, forse suggeritogli da Kushner-Witkoff. Ma fondamentale è stato anche che l’Iran e la sua rete – Hezbollah, gli Houthi, le milizie sciite in Iraq – abbiano subito un colpo devastante da parte di Israele, con l’aiuto degli Stati Uniti, in quella che è stata chiamata la Guerra dei 12 giorni. Quindi la capacità dell’Iran di intromettersi e distruggere i colloqui di pace è stata gravemente compromessa.

Essenziale poi è stato il cambiamento nell’approccio verso Bibi. Dall’assegno in bianco a Israele all’irritazione dopo l’attacco contro i leader di Hamas in Qatar. Quello è stato il punto di svolta. Quando Trump ha ospitato Netanyahu alla Casa Bianca, il 29 settembre, per presentare il suo piano di pace lo ha costretto a chiamare il premier del Qatar dallo Studio Ovale per scusarsi. Pare che il presidente abbia perfino tenuto in mano la cornetta per tutta la telefonata e che un funzionario di Doha abbia supervisionato che il premier israeliano non cambiasse il copione concordato. Non solo, l’inquilino della Casa Bianca ha sfruttato l’unità degli arabi contro l’attacco israeliano per convincerli tutti ad accettare il piano.

Ultimo, ma non ultimo, in queste negoziazioni Trump si è impegnato più personalmente portando il suo stile non ortodosso e affidandosi a pochi consiglieri fidati, al suo istinto e a una fede incrollabile nel potere delle relazioni personali.

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