
Dazi di Trump? “La Svizzera deve rimanere tranquilla”

Rimanere tranquilli, evitare le reazioni impulsive e costruire nuove alleanze commerciali: è l'approccio che deve seguire la Svizzera per far fronte ai dazi del 39% decisi nei suoi confronti dal presidente americano Donald Trump, stando all'economista Agathe Demarais.
(Keystone-ATS) In un’intervista pubblicata oggi dal Tages-Anzeiger la ricercatrice del European Council on Foreign Relations (ECFR) – un laboratorio di idee europeo fondato nel 2007 – parte dall’Unione europea per poi arrivare alle Confederazione ed esordisce commentando l’indignazione suscitata dall’accordo sui dazi al 15% sottoscritto da Bruxelles con Washington.
“Da un lato, l’Ue è sempre un capro espiatorio ideale. Dubito che ogni singolo stato membro avrebbe potuto negoziare condizioni migliori. Dall’altro lato, all’inizio Bruxelles ha comunicato in modo piuttosto aggressivo e sicuro di sé che non avrebbe tollerato i dazi di Trump: ciò ha suscitato aspettative che l’unione non è stata in grado di soddisfare. Credo che anche delle contromisure non avrebbero dissuaso Trump dall’imporre le barriere doganali: lui ama i dazi! La penso quindi come l’Ue: trovo che l’accordo non sia buono, ma meno negativo delle alternative.
L’esperta e autrice di saggi ritiene che l’Europa soffrirà meno di quanto molti pensano. “Per tre motivi: in primo luogo, i dazi doganali gravano soprattutto sui consumatori e sulle imprese americane, non sui nostri. È errato credere che chi paga i dazi doganali sia colui contro cui sono stati imposti. Al contrario, chi li paga è chi li impone. In secondo luogo, sbaglia chi considera l’accordo una capitolazione solo perché l’Ue non impone dazi doganali di ritorsione. Al contrario: gli studi dimostrano che i danni alla propria economia raddoppierebbero se l’Ue rispondesse con contromisure. In terzo luogo, le dichiarazioni d’intenti di acquistare gas dagli Stati Uniti per centinaia di miliardi di dollari e di investire lì in modo massiccio sono esattamente questo: dichiarazioni d’intenti, a cui crede chi vuole”.
“Dei 27 stati membri dell’Ue, solo due si sono dichiarati indignati: la Francia, notoriamente critica nei confronti degli Stati Uniti, e l’Ungheria, da sempre critica nei confronti dell’Unione europea”, sottolinea la specialista i cui contributi appaiono regolarmente sulla stampa. “Nel resto dei paesi ha prevalso il sollievo: la maggior parte delle aziende è in grado di far fronte a un dazio del 15% e in cambio si pone fine alla dannosa incertezza”.
Come deve reagire l’Ue? “Dovrebbe mantenere la calma, limitare i danni, rimanere unita e vedere la situazione come un’opportunità per attuare riforme interne ormai necessarie da tempo”, risponde l’intervistata con studi all’ateneo Sciences Po di Parigi e alla Columbia University di New York. “È risaputo che l’Ue cresce sempre oltre i propri limiti nelle crisi. E la Svizzera? “Per lei vale lo stesso discorso che per l’Ue: mantenere la calma, non reagire, formare nuove coalizioni commerciali, sostenere gli esportatori. Cercare di ottenere condizioni migliori nei negoziati”.
In tutti i casi Demarais teme che si sviluppi una guerra valutaria. “Nell’entourage di Trump ci sono economisti che ritengono che i deficit commerciali siano il risultato di un dollaro sopravvalutato. Dal punto di vista della maggior parte degli esperti si tratta di un’assurdità, ma potrebbe comunque avere delle conseguenze: in una nuova edizione dell’accordo di Plaza del 1985 gli Stati Uniti potrebbero obbligare le principali nazioni industrializzate del mondo a vendere parte dei loro titoli di stato statunitensi per indebolire il dollaro. Non mi sorprenderebbe se Trump facesse una mossa del genere al vertice del G20 che presiederà il prossimo anno”.
Le conseguenze per l’Europa e la Svizzera? “L’euro e il franco diventerebbero ancora più forti: non in modo graduale come finora, ma in maniera brusca. Gli esportatori ne risentirebbero pesantemente, perché i loro prodotti diventerebbero molto più costosi e poiché, a differenza dell’economia statunitense che vive di consumi, l’export è il motore dell’economia europea nel suo complesso”, conclude la professionista che parla correntemente cinque lingue.