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Rifugiati come agenti dell’intelligence svizzera

Due uomini, mappa svizzera sullo sfondo
Wilhelm Bruckne (a sinistra) e Paul Wollenberger (a destra) sono stati utilizzati come agenti dai servizi segreti svizzeri durante la Seconda guerra mondiale, insieme a circa 2'500 altri rifugiati. SRF

Un’inchiesta svela la storia di un rifugiato ebreo che nel 1942 lavorò come agente segreto per la Svizzera. Nonostante il pericolo che correva, il Paese lo abbandonò. Durante la Seconda guerra mondiale, la Confederazione reclutò più volte rifugiati come agenti.

Paul Wollenberger era un commerciante ebreo che nel 1939 fuggì con la famiglia nel Liechtenstein. Lì, nel 1942, fu reclutato dai servizi segreti elvetici come agente. Da quel momento tenne sotto osservazione in incognito il movimento nazionalsocialista nel Principato e inviò regolarmente rapporti in Svizzera.

Questo incarico era rischioso. Quando Wollenberger si trovò in difficoltà in Liechtenstein, cercò di fuggire con la famiglia in Svizzera. Ma non ottenne il permesso di soggiorno. Fu invece internato, mentre la famiglia in Liechtenstein perdeva il padre e il sostegno economico.

Oltre 2’000 agenti al servizio della Svizzera

Secondo lo storico Christian Rossé, durante la Seconda guerra mondiale i servizio informativi svizzeri impiegarono numerosi rifugiati come agenti: “L’interesse per i rifugiati risiedeva nel fatto che erano ben informati e avevano contatti nei loro Paesi d’origine”, afferma.

Secondo lo storico Christian Rossé, i servizi di intelligence elvetici impiegarono durante la guerra fino a 2’500 agenti, incaricati di raccogliere informazioni per la Svizzera. Non è chiaro se, oltre a Paul Wollenberger, vi siano stati altri rifugiati ebrei che abbiano svolto attività di spionaggio per il Servizio. In generale, l’argomento è finora poco studiato.

Il mancato sostegno della Svizzera a Paul Wollenberger, secondo Rossé, ha anche motivazioni legate alla politica di neutralità: “Uno Stato che viene spiato può sentirsi attaccato.” Sostenere o risarcire economicamente gli agenti avrebbe significato ammettere che la Confederazione aveva operato con agenti all’estero.

Spie nella resistenza armata

Nel 1944, anche Wilhelm Bruckner lavorò per i servizi informativi svizzeri. Il giovane rifugiato proveniente dall’Austria svolse attività di spionaggio nel Vorarlberg e in Tirolo.

Ma si spinse oltre: fondò l’organizzazione di resistenza “Patria”, il cui obiettivo era un’Austria indipendente e si oppose militarmente agli occupanti tedeschi. Mentre “Patria” riceveva armi e finanziamenti dai servizi segreti alleati, i servizi segreti elvetici fornirono un altro tipo di supporto, autorizzando Bruckner a reclutare a favore di “Patria” cittadini austriaci e altoatesini internati nella Confederazione, e fornendo ai membri passaporti falsi per attraversare il confine.

Neutralità abbandonata

Con il sostegno a un’organizzazione di questo tipo, la Svizzera prese chiaramente posizione, sostiene lo storico Gerald Steinacher, che ha studiato la storia di “Patria”: “Dal mio punto di vista, si tratta di un abbandono della neutralità. Si è scelto da che parte stare, opponendosi alla Germania nazista.”

Dopo la guerra, la Svizzera ufficiale cercò di minimizzare la collaborazione con “Patria”. La Procura federale avvertì il consigliere federale Eduard von Steiger del “possibile danno (…) che potrebbe derivare alla Svizzera (…) se il caso Bruckner diventasse pubblico”.

Tragici destini

Le vicende di entrambi gli agenti ebbero un epilogo drammatico: Wilhelm Bruckner, che desiderava restare in Svizzera dopo la guerra, fu espulso e gli fu vietato il rientro. Paul Wollenberger fu liberato dalla detenzione solo anni dopo la fine del conflitto. Solo allora poté far venire la sua famiglia in Svizzera. Quanto vissuto lo segnò per il resto dei suoi giorni. Il figlio, Werner Wollenberger, divenne un noto giornalista.

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