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La Svizzera regolamenta le attività dei contractor

La Svizzera muove i primi passi per colmare il vuoto giuridico che consente ai contractor di violare impunemente il diritto internazionale umanitario AFP

Le società di sicurezza private con sede in Svizzera in futuro dovranno rendere conto alla Confederazione delle attività all’estero. Il governo propone una legge che contempla obblighi, divieti, controlli e sanzioni. La regolamentazione elvetica potrebbe fare scuola.

Con questa normativa “la Svizzera costruisce un pezzo di un’opera pionieristica internazionale”, ha affermato con enfasi la ministra di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga, presentando il disegno di legge federale sulle prestazioni di sicurezza private fornite all’estero (LPSP).

Seppur con qualche appunto, anche Marco Sassoli, professore ordinario e direttore del Dipartimento di diritto internazionale pubblico e organizzazione internazionale dell’università di Ginevra, giudica “non perfetto, ma piuttosto esemplare” questo progetto di legislazione. Tanto più che la regolamentazione delle società militari e di sicurezza private “oggi è una delle grandi preoccupazioni del diritto internazionale umanitario”, osserva l’esperto.

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La moltiplicazione delle attività di tali società in zone di crisi o di conflitti e l’espansione della gamma delle loro prestazioni, registrate negli ultimi vent’anni, non sono infatti state accompagnate da un disciplinamento giuridico. Promotrice di iniziative internazionali per regolamentare tali attività, paradossalmente anche la Svizzera ha un vuoto giuridico in casa sua. Questo dovrebbe essere colmato con la legge ora proposta dal governo, che mira a preservare la sicurezza interna ed esterna della Svizzera, realizzare i suoi obiettivi di politica estera, preservare la sua neutralità e garantire il rispetto del diritto internazionale.

Divieti

Il testo proibisce alle società di sicurezza con sede in Svizzera qualsiasi partecipazione diretta ad ostilità all’estero nell’ambito di un conflitto armato e qualsiasi prestazione che favorisce gravi violazioni dei diritti umani. Il divieto riguarda il reclutamento, la formazione, la messa a disposizione di personale, direttamente o come intermediario, come anche il controllo di società che svolgono tali attività (holding).

Queste disposizioni sono ritenute insufficienti dall’ex deputato e vice-presidente dei Verdi svizzeri, Josef Lang, autore di una mozione parlamentare che ha portato al disegno di legge. Il politico chiede un divieto puro e semplice delle società di sicurezza private attive nelle zone di guerra e precisa che il Partito ecologista sostiene la sua posizione.

Il disegno di legge fissa anche una serie di regole precise riguardo alle società private incaricate dalle autorità federali di svolgere compiti di sicurezza.

Rispondendo a un’interpellanza, il governo nel febbraio 2012 ha indicato che la Confederazione conferisce annualmente circa 120 incarichi a servizi di sicurezza privati. L’onere finanziario ammonta a circa 25 milioni di franchi all’anno.

“Nelle guerre odierne, per esempio in Afghanistan, è impossibile distinguere fra partecipazione diretta e indiretta”, afferma Lang. Inoltre “non è possibile verificare cosa fanno esattamente queste società nei campi di battaglia”.

Rimproveri simili sono mossi dall’Unione democratica di centro (destra conservatrice). “Quando l’autorità svizzera esamina e giunge alla conclusione che non si tratta di alcuna partecipazione diretta alle ostilità, è una situazione momentanea; i conflitti possono cambiare carattere nel giro di ore”, indica il partito in una nota.

Secondo il professor Sassoli, invece, sarebbe eccessivo andare oltre il concetto di partecipazione diretta ai sensi delle Convenzioni di Ginevra e dei protocolli aggiuntivi, cui il progetto legislativo si riferisce esplicitamente.

Dichiarazione preventiva

L’esperto di diritto internazionale umanitario è però critico sulla decisione del governo di non sottoporre ad autorizzazione le prestazioni di sicurezza all’estero. L’esecutivo prevede l’obbligo per le società che intendono effettuare attività sottoposte alla LPSP, di dichiararlo preventivamente all’autorità federale preposta e di fornirle una serie di informazioni ben determinate. L’autorità deve comunicare entro 14 giorni all’azienda se è necessaria una procedura d’esame.

Nel messaggio alle Camere federali, il governo svizzero indica che su scala mondiale le prestazioni private nei campi militare e della sicurezza rappresentano un potenziale di centinaia di migliaia di collaboratori e che il mercato mondiale della sicurezza privata in zone di guerra è stimato a 100 miliardi di dollari.

Dal canto suo, il Ministero degli affari esteri francese evoca stime di 400 miliardi di dollari di fatturato e di un milione di persone di effettivi per l’insieme delle società militari e di sicurezza private nel mondo. Su questo lucroso mercato sarebbero attive circa 6’500 società.

Non ci sono statistiche sulle aziende militari e di sicurezza private in Svizzera. In un rapporto del 2010, l’Ufficio federale di giustizia ha tuttavia indicato che a quel momento c’erano una ventina di società di sicurezza private con sede in Svizzera che operavano o suscettibili di operare in zone di crisi o di conflitto.

L’esecutivo ha motivato la rinuncia all’autorizzazione con la volontà di evitare, da una parte, un ingente onere burocratico e finanziario, e dall’altra, il pericolo che essa possa essere interpretata come una garanzia della Svizzera.

“Per determinare se ciò che una ditta prevede di fare è una partecipazione diretta alle ostilità, occorre un’analisi seria. Mi chiedo perciò, perché mai sarebbe meno oneroso fare questa analisi nel sistema di dichiarazione preventiva che in quello di autorizzazione”, obietta il professore.

L’argomentazione governativa non convince per nulla il Partito socialista, che esige “l’istituzione di un efficace sistema di autorizzazione al posto del fragile sistema di dichiarazione”.

Codice di condotta

Positivo, invece, per Sassoli, è l’obbligo, previsto dal progetto di legge, di aderire al Codice di condotta internazionale delle società di sicurezza private (CCI), per poter fornire prestazioni all’estero. Le società che vi aderiscono si impegnano a rispettare i diritti umani e il diritto umanitario nello svolgimento del loro lavoro.

Frutto di un’iniziativa lanciata congiuntamente dalla Svizzera con le società di sicurezza private, il CCI ha tuttavia suscitato disapprovazione da parte della Francia. Parigi lo vede piuttosto come una scappatoia per le grandi società di sicurezza private, che possono così dettare le loro regole ed “evitare qualsiasi convenzione internazionale classica sul settore, che potrebbe essere più vincolante”, si legge in un rapporto della Commissione della difesa all’Assemblea nazionale francese del 2012.

“Certamente questo codice non è rivoluzionario e su questioni importanti, quali la partecipazione diretta alle ostilità, è silenzioso. Ma bisogna anche riconoscere che negli ultimi anni molto raramente gli Stati hanno accettato nuovi trattati. Quindi bisogna trovare nuove vie per regolamentare”, commenta Sassoli.

L’Associazione imprese svizzere servizi di sicurezza (AISSS/VSSU) per ora non è ancora soddisfatta al 100%, indica Matthias Fluri, del servizio giuridico dell’organizzazione di categoria. L’associazione sta esaminando la proposta del governo. Solo quando la riflessione approfondita sarà conclusa e ne avrà discusso il consiglio direttivo, prenderà ufficialmente posizione.

Tra le formazioni politiche, le proposte governative ottengono ottimi voti dai partiti liberale radicale, popolare democratico e borghese democratico – ossia quelli al centro dello spettro politico svizzero –, mentre la sinistra rosso-verde e la destra conservatrice mettono delle insufficienze su alcuni punti.

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