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Donald Trump

La settimana in Svizzera

Care svizzere e cari svizzeri all’estero,

un tema economico ha chiaramente dominato l’attualità svizzera negli ultimi giorni: la prosecuzione della telenovela sui dazi doganali americani.

Venerdì è finalmente giunta una svolta con l'annuncio del raggiungimento di un'intesa per portare le tariffe sull'export elvetico verso gli USA dal 39% al 15%.

Fatto piuttosto raro, anche questioni demografiche sono state al centro dell’attenzione.

Buona lettura!

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L’aereo del Consiglio federale è decollato giovedì per portare una delegazione svizzera a negoziare a Washington. Keystone / Peter Klaunzer

L’industria svizzera d’esportazione ha potuto tirare un enorme respiro di sollievo. La Confederazione ha annunciato venerdì il raggiungimento di un’intesa con gli Stati Uniti per abbassare i dazi doganali imposti alle esportazioni elvetiche verso gli USA dal 39% al 15%, in linea con quelli fissati per l’UE.

Fino a qualche giorno fa, ogni sforzo volto a modificare la posizione americana si era rivelato vano. Ma la recente visita di sei dirigenti di aziende di punta dell’economia svizzera nello Studio Ovale della Casa Bianca sembra aver infine smosso le acque.

I grandi imprenditori avrebbero proposto a Donald Trump di investire nell’industria farmaceutica e nelle infrastrutture negli Stati Uniti e di delocalizzare parzialmente lì alcune fonderie d’oro. Avrebbero anche offerto al presidente americano un orologio di lusso e un lingotto d’oro con dedica.

A questo incontro a fatto seguito la visita di giovedì del ministro svizzero dell’economia Guy Parmelin e dela segretaria di Stato all’economia Helene Budliger Artieda a Washington per proseguire le trattative. In particolare, si è tenuto un colloquio con il rappresentante della Casa Bianca per il commercio, Jamieson Greer.

Ieri, infine, il Consiglio federale ha comunicato che la Svizzera ha “stipulato con gli Stati Uniti una dichiarazione d’intenti giuridicamente non vincolante, in base alla quale gli USA ridurranno al 15% i dazi aggiuntivi applicati alle esportazioni provenienti dalla Svizzera“.

“In parallelo alla riduzione dei dazi USA, nell’ambito della dichiarazione d’intenti la Svizzera abolirà i dazi sull’importazione di una serie di prodotti statunitensi“, si legge. Inoltre, il Governo ha indicato che alcune aziende svizzere prevedono di effettuare investimenti diretti negli Stati Uniti per 200 miliardi di dollari entro la fine del 2028.

Interno di un vagone passeggeri
L’interno di una delle carrozze di Siemens Mobility CFF / SBB / FFS

Non sono solo le esportazioni ad aver fatto scorrere fiumi d’inchiostro sulla stampa svizzera questa settimana, ma anche le importazioni. La polemica è esplosa attorno all’acquisto controverso da parte delle Ferrovie federali svizzere (FFS) di materiale rotabile in Germania.

Le FFS avevano annunciato il 7 novembre l’acquisto di 116 convogli a due piani dalla società tedesca Siemens Mobility. Una scelta che ha suscitato reazioni, poiché l’azienda svizzera Stadler Rail era anch’essa in corsa per aggiudicarsi questo contratto da 2,1 miliardi di franchi, il più grande mai concluso dalle FFS. Negli ultimi giorni, i due protagonisti hanno voluto spiegare la loro posizione.

Il patron di Stadler Rail, Peter Spuhler, ha espresso la sua delusione, in particolare sulla stampa domenicale. “Il colpo è davvero duro per i 6’000 collaboratori di Stadler, così come per i nostri oltre 200 fornitori in tutta la Svizzera”, ha dichiarato in un’intervista alla SonntagsZeitung. Con un’offerta appena più cara (0,6%, ossia 18 milioni di franchi), l’azienda svizzera ritiene di essere stata ingiustamente esclusa e valuta di presentare ricorso.

Le critiche hanno spinto la direzione delle FFS a reagire. Ha indicato che la procedura era stata condotta in modo rigoroso, conformemente alla legge sugli appalti pubblici. E che il contratto era stato attribuito all’impresa tedesca perché aveva ottenuto un punteggio migliore, in particolare in materia di sostenibilità, efficienza energetica e costi di esercizio.

La vicenda provoca agitazione nella sfera politica. “Bisogna essere stupidi per non affidare l’ordine a un’azienda svizzera esemplare come Stadler per una differenza di prezzo minima?”, si è chiesto per esempio il centrista Gerhard Pfister su X. Alcuni membri del Parlamento chiedono un esame approfondito del dossier. Dal canto suo, il sindacato UNIA ha definito la decisione delle FFS “incomprensibile” e reclama maggiore trasparenza nei criteri di attribuzione.

Ragazza in uniforme
Il Consiglio federale cerca nuove soluzioni per reclutare più donne nell’esercito. Keystone / Peter Klaunzer

Di fronte a una situazione di sicurezza sempre più tesa in Europa, l’esercito svizzero vuole garantire il mantenimento dei propri effettivi. Per riuscirci, punta sul contributo delle donne. Mercoledì il Consiglio federale ha presentato una nuova idea per aumentare il numero di donne nelle file dell’esercito.

Il Governo desidera introdurre una giornata d’informazione obbligatoria per le donne, affinché possano farsi un’idea concreta delle possibilità offerte nell’esercito e nella protezione civile. Attualmente, questa giornata è obbligatoria per gli uomini, ma facoltativa per le donne. Il Consiglio federale ha inviato il progetto in consultazione.

Attualmente, 2’500 donne sono integrate nell’esercito, ossia circa il 2,3% dell’effettivo. Circa 1’200 donne partecipano volontariamente alla giornata d’informazione. “Ma troppo spesso devono giustificarsi quando desiderano informarsi”, ha deplorato il ministro svizzero della difesa Martin Pfister davanti alla stampa.

Questa idea non sorprende di per sé, poiché da anni le autorità vogliono aumentare il numero di donne nell’esercito. Ciò che sorprende è il momento scelto, visto che tra due settimane il popolo dovrà pronunciarsi su un’iniziativa popolare che chiede un servizio civico obbligatorio per tutte e tutti. Interpellato in conferenza stampa, Martin Pfister ha indicato che non si tratta di una strategia per contrastare l’iniziativa.

spermatozoi al microscopio
Secondo un recente studio, lo spermatozoo delle città sembra più vigoroso di quello delle campagne. Keystone / Anthony Anex

Una cosa è certa: l’esercito svizzero non dovrebbe contare troppo sull’aumento naturale della popolazione per colmare i ranghi. Due informazioni emerse questa settimana mostrano che la fertilità degli svizzeri e delle svizzere è in calo.

Uno studio dell’Ufficio federale di statistica (UST) indica che nel 2024 il numero medio di figli per donna era di 1,29, il livello più basso mai registrato dall’inizio dei rilevamenti. Inoltre, anche il desiderio di avere figli è in diminuzione.

La quota di persone tra i 20 e i 29 anni che non vogliono figli è passata dal 6% nel 2013 al 17% nel 2023. Tra i 30 e i 39 anni, questa percentuale è salita dal 9% al 16% nello stesso periodo.

L’UST precisa che molteplici fattori possono spiegare questo calo della fecondità. Ma uno di essi potrebbe essere la qualità dello sperma dei giovani uomini, giudicata preoccupante secondo analisi effettuate su campioni prelevati tra le reclute dell’esercito.

Si sa dal 2019 che circa uno svizzero su sei ha così pochi spermatozoi che una gravidanza naturale potrebbe risultare difficile. Ma l’ultimo studio pubblicato a settembre sulla rivista specializzata Human Reproduction mostra per la prima volta differenze regionali e un possibile legame tra la qualità dello sperma e l’agricoltura. Il team di ricerca dell’Università di Ginevra e del Politecnico federale di Losanna ritiene che influssi chimici provenienti dall’agricoltura, come i pesticidi, possano svolgere un ruolo.

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