La Svizzera ha finalmente una docente in medicina di genere: si apre un’era
SWI swissinfo.ch ha incontrato Carolin Lerchenmüller a Zurigo, dopo la sua nomina a prima docente svizzera di medicina di genere. La professoressa anticipa che ci vorrà del tempo per comprendere appieno come e perché le donne reagiscono in modo diverso ad alcune malattie e trattamenti. Ma non è necessariamente un male.
È la prima accademica nominata professoressa di medicina di genere in Svizzera, ma non ha intenzione di restare una figura simbolica. La sua più grande sfida sarà sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questo nuovo ambito di ricerca e garantire che i suoi studi siano affidabili e lascino qualcosa che duri oltre il clamore mediatico.
“È stato molto impegnativo trasferirmi a Zurigo, gestire le richieste dei media e gli inviti a tenere relazioni, partecipare alle numerose conferenze e nel frattempo costruire il mio team cercando le figure mancanti e sviluppando i programmi di ricerca e insegnamento”, spiega a SWI swissinfo.ch all’Università di Zurigo, dove è ora di stanza.
In effetti ci sono voluti tre mesi per riuscire a incontrare Carolin Lerchenmüller, che ha iniziato il suo nuovo lavoro il 1° maggio, e il suo ufficio non era ancora completamente arredato: l’abbiamo intervistata in una sala riunioni del campus.
Una disciplina a lungo attesa
La medicina di genere è lo studio di come le differenze biologiche, definite dal sesso, e quelle socioculturali, dipendenti dal genere, influenzino la salute delle persone. Cerca di comprenderle meglio per integrarle nelle cure, nell’insegnamento e nello sviluppo di trattamenti.
La disciplina è comparsa negli Stati Uniti oltre quarant’anni fa, quando le femministe hanno unito le forze con cardiologhe e cardiologi per studiare come le cardiopatie colpiscano le donne in modo diverso dagli uomini.
Dal 1993, il Congresso degli Stati Uniti ha reso obbligatoria la partecipazione di un numero adeguato di rappresentanti di entrambi i sessi agli studi clinici di Fase III (l’ultima prima di richiedere l’approvazione per l’immissione sul mercato di un farmaco) per garantire che l’analisi dei dati consenta di individuare eventuali differenze.
Ci sono voluti poi altri vent’anni affinché la medicina di genere prendesse piede e fosse introdotta negli atenei di medicina in Europa.
La Svezia è stata capofila. Nel 2001, la Facoltà di medicina dell’Università di Umeå ha deciso di inserire le prospettive di genere nel suo programma di studi. Mentre il Karolinska Institute è stato il primo in Europa a istituire un corso di formazione via web su salute e malattia sempre in ottica di genere.
Nel 2003, la cardiologa tedesca Vera Regitz-Zagrosek ha fondato a Berlino l’Institute of Gender in Medicine (GiM), primo centro di ricerca interdisciplinare in Europa ad adottare un approccio sistematico all’integrazione della medicina di genere nella formazione medica e interprofessionale.
In confronto, la Svizzera si è mossa relativamente a rilento. Il primo istituto del Paese a introdurre nel programma di studi corsi sull’influenza del sesso e del genere sulla salute è stato il Centro di medicina generale e salute pubblica dell’Università di Losanna ‘Unisanté’ nel 2019.
La Svizzera non è neppure una primatista nella promozione delle donne in campo medico. Ha lanciato il gruppo di interesse Women in Cardiology (IG-WIC), una piattaforma che consente alle cardiologhe di condividere le loro competenze, solo nel 2017, mentre il primo gruppo WIC fu fondato negli Stati Uniti nel 1994 e nel Regno Unito nel 2005.
Il modello Stati Uniti
Lerchenmüller si è imbattuta per la prima volta nella medicina di genere durante i suoi studi in cardiologia al Massachusetts General Hospital e alla Harvard Medical School tra il 2013 e il 2017. Uno dei suoi modelli all’epoca era Marianne Legato, cardiologa statunitense che per prima ha riconosciuto e descritto sistematicamente le variazioni nelle malattie cardiovascolari tra uomini e donne.
“Le differenze tra il cuore delle donne e quello degli uomini”, ricorda Lerchenmüller, a proposito della sua esperienza di lavoro negli Stati Uniti, “erano ben riconosciute e attivamente studiate”.
Mentre i pazienti uomini soffrono tipicamente di dolore toracico che si irradia al braccio sinistro, molte pazienti donne presentano sintomi completamente diversi, tra cui respiro affannoso, traspirazione, dolore allo stomaco, nausea, vomito, mal di testa o dolore al collo.
Questa differenza nei sintomi può essere fatale: “A volte i medici hanno escluso condizioni potenzialmente letali nelle pazienti e le hanno rimandate a casa”, accrescendo significativamente il rischio di non diagnosticare l’infarto nelle donne, afferma Lerchenmüller.
Determinata a lasciare il segno in questo campo di studi, Carolin Lerchenmüller è tornata nella sua Germania natale per dirigere un gruppo di ricerca al Dipartimento di cardiologia, angiologia e pneumologia dell’Università di Heidelberg con l’obiettivo di studiare e integrare le differenze di genere nel suo lavoro.
“Ero molto motivata”, racconta. “Ho pensato: ho trovato il mio posto, è qui che voglio mettere a frutto le mie nuove conoscenze”. Ma è rimasta presto delusa. Poco dopo essere tornata in Europa, ha notato un forte squilibrio di genere nella cardiologia. All’epoca, ad esempio, pochissime donne erano invitate a tenere relazioni al congresso annuale della Deutsche Gesellschaft für Kardiologie (DGK, società tedesca di cardiologia). “Non era un buon segno, perché avrebbe finito per influenzare il nostro orientamento scientifico”.
Questo l’ha portata a lanciare un’iniziativa per le donne in seno alla DGK con l’obiettivo di promuovere la rappresentanza femminile in questo ambito, soprattutto nelle posizioni di leadership. Ha inoltre guidato il gruppo di lavoro “Donne e famiglia in cardiologia”, per costruire le basi di una effettiva parità di genere e promuovere la diversità.
Carolin Lerchenmüller è professoressa di medicina di genere all’Università di Zurigo dal 1° maggio 2024. È la prima docente con questo titolo specifico in Svizzera. Lavora come medico curante presso la Clinica di cardiologia dell’Ospedale universitario di Zurigo.
In precedenza, è stata leader del gruppo di ricerca e direttrice del Laboratorio di rimodellamento e rigenerazione cardiaca all’Ospedale universitario di Heidelberg, dove ha lavorato anche come cardiologa, nonché coordinatrice scientifica al Deutsches Zentrum für Herz-Kreislauf-Forschung (DZHK, centro tedesco per la ricerca cardiovascolare).
Una disciplina a tutti gli effetti
Quando è stato bandito il concorso per la prima cattedra svizzera di medicina di genere all’Università di Zurigo, Lerchenmüller è stata tra le poche persone a candidarsi. La posizione prevede lo sviluppo di diagnosi e terapie personalizzate per uomini e donne, affinché la comunità medica ne comprenda meglio le esigenze e le relative strutture le soddisfino.
Lerchenmüller sta ora assumendo diversi studenti post-dottorato e le figure tecniche necessarie a condurre ricerca di base. Inoltre, studierà come generare dati affidabili e di alta qualità basati su una revisione sistematica attraverso collaborazioni internazionali.
La ricercatrice spiega che la sua prima sfida sarà di andare oltre la risonanza mediatica della medicina di genere e affermare il suo campo di studi come una disciplina accademica a tutti gli effetti, che possa continuare a evolvere.
“È facile creare una nuova area di ricerca o una cattedra di medicina di genere, ma è molto difficile sostenerla nel tempo”, osserva.
Le domande che si pone non hanno risposte facili. Perché alcune malattie colpiscono uomini e donne in modo diverso? E perché non sempre rispondono allo stesso modo ai farmaci?
“Attualmente non abbiamo dati a sufficienza su queste differenze”, riconosce. “Questa è la sfida che devono affrontare il mondo accademico, la medicina clinica e l’industria farmaceutica”. Lerchenmüller sottolinea che nei dati ci sono molte lacune sviluppatesi nel corso di decenni e che devono essere colmate.
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Una delle cause è la sottorappresentazione delle donne negli studi clinici. Ciò crea una distorsione che continua quando i farmaci vengono sviluppati e prodotti. “Credo sia giusto dire che la maggior parte dei farmaci che usiamo sono studiati per un maschio bianco di 80 chili”.
Un processo “necessariamente lento”
Lerchenmüller stima che ci vorranno decenni per colmare le lacune di dati. Come esempio, cita il fatto che le differenze nei sintomi dell’infarto tra uomini e donne erano note già negli anni ’90, ma ci sono voluti grossomodo altri vent’anni prima che venissero menzionate nelle linee guida europee per la prevenzione delle malattie cardiovascolari nella pratica clinica.
“Devono esserci dati solidi che confermino e spieghino le differenze che abbiamo osservato”, spiega, “affinché queste siano riconosciute nelle linee guida”.
Sebbene molti abbiano lamentato la lentezza dei cambiamenti nella medicina di genere, la docente non è d’accordo. È convinta che ci voglia tempo per produrre prove affidabili e di alta qualità e formulare linee guida che possano essere tradotte in cure cliniche e applicate in tutto il mondo. “È un processo necessariamente molto lento e attento”.
Uno dei casi più eclatanti – e che servono da monito – di disparità di genere causate da dati insufficienti e metodo scientifico carente è la controversia sullo zolpidem, venduto in Svizzera e in Italia con il nome commerciale di Stilnox.
Il farmaco, comunemente prescritto come soluzione a breve termine per chi soffre di insonnia, è noto soprattutto per essere la causa di incidenti stradali mortali che hanno fatto notizia. In una decisione storica del 2013, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense raccomandòCollegamento esterno alle donne di assumere una dose dimezzata rispetto agli uomini.
La FDA citava nuovi dati pubblicati dal Center for Drug Evaluation and ResearchCollegamento esterno, secondo i quali le donne sono più esposte al rischio, il giorno successivo, di effetti collaterali cognitivi che influiscono sulla guida. I dati indicavano che ciò è dovuto al fatto che le donne metabolizzano il farmaco più lentamente degli uomini. Si tratta del primo, e finora unico, farmaco con posologia differenziata per sesso autorizzato dalla FDA negli USA.
Tuttavia, un certo numero di ricercatrici e ricercatori ha messo in discussioneCollegamento esterno il ragionamento alla base della raccomandazione della FDA, affermando che manca di “prove concrete” e che le relative raccomandazioni potrebbero portare a una sotto-medicazione per molte donne che soffrono di disturbi del sonno.
Un compito importante per Lerchenmüller e il suo team sarà di collegare le banche dati e istituire più collaborazioni a livello nazionale e globale per raccogliere altre informazioni sulle differenze di genere.
La Svizzera cerca di mettersi in pari
A tre mesi dall’inizio del suo lavoro, la professoressa si dice piacevolmente sorpresa dalla qualità della ricerca in Svizzera. “Il lavoro di ricerca e cure in medicina di genere svolto qui è davvero ottimo”, riconosce, “molto al di là delle mie aspettative”.
Negli ultimi due anni la Svizzera si è messa al passo con gli sviluppi in questo ambito nei suoi percorsi di studio in medicina.
Le università di Berna e Zurigo, nell’autunno 2020, hanno lanciato il primo corso di formazione avanzata del Paese in medicina specifica per sesso e genereCollegamento esterno. L’obiettivo è di presentare strumenti, concetti e idee su come le cure medico-sanitarie e la ricerca medica in varie discipline possano essere eque da questo punto di vista.
Il Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) ha lanciato un bando per il programma “Medicina e salute di genere” Collegamento esternoalla fine del 2023, con un budget di 11 milioni di franchi su 47 milioni di finanziamenti annuali totali. Circa 140 pre-proposte sono state presentate da 389 ricercatrici e ricercatori. Ciò corrisponde a quasi la metà di tutte le domande presentate per tutti i programmi di ricerca nazionali. La prossima fase di valutazione si svolgerà in autunno.
Come altre mediche e ricercatrici, Lerchenmüller lamenta che la sua vita privata sia scrutata in modo diverso rispetto a quella dei colleghi uomini. La professoressa resta evasiva su come si destreggia tra la crescita di tre figli e un lavoro impegnativo: vuole che l’intervista si concentri sui suoi studi e sulla sua visione, piuttosto che sul fatto che è la prima donna e la prima persona in Svizzera a ricoprire una tale posizione.
È convinta che un reale progresso nell’avanzamento delle donne nel settore medico-sanitario dipenda dal rendere l’intero settore più equo e inclusivo.
A cura di Virginie Mangin/gw
Traduzione dall’inglese di Rino Scarcelli. Revisione di Sara Ibrahim
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