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Lunghi viaggi nello spazio alterano struttura del cervello

Un'immagine del Pacifico settentrionale scattata dalla Stazione spaziale internazionale, in cui gli astronauti soggiornano per lunghi periodi. KEYSTONE/EPA NASA/NASA/RANDY BRESNIK HANDOUT sda-ats

(Keystone-ATS) Le missioni spaziali di lunga durata possono alterare la struttura del cervello umano: le anomalie sarebbero legate all’aumento della pressione intracranica e ai problemi di vista sperimentati da alcuni astronauti.

A indicarlo è uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine dalla neuroradiologa Donna Roberts della Medical University of South Carolina.

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La ricercatrice ha cominciato a collaborare con l’agenzia spaziale statunitense Nasa fin dagli anni Novanta, concentrandosi sulle reazioni del cervello nello spazio. Grazie ai primi studi condotti su pazienti allettati (con la testa inclinata in condizioni che simulano quelle della microgravità), Roberts aveva già osservato delle modifiche anatomiche nella parte superiore della corteccia cerebrale.

Le stesse anomalie le ha poi riscontrate esaminando le risonanze magnetiche di 18 astronauti rimasti nello spazio per brevi periodi a bordo dello Space Shuttle e quelle di 16 astronauti rimasti sulla Stazione spaziale internazionale per circa tre mesi.

I risultati confermano che nello spazio si verifica un restringimento del solco centrale che nella corteccia cerebrale separa l’area frontale da quella parietale: l’alterazione interessa il 94% degli astronauti delle missioni di lunga durata, contro il 19% di quelli impegnati in voli di breve durata. Le immagini mostrano anche uno spostamento verso l’alto del cervello e un restringimento dello spazio tra la parte superiore del cervello e il cranio. Le aree cerebrali più colpite (i lobi frontali e parietali) controllano i movimenti e le funzioni esecutive superiori.

Secondo la neuroradiologa, è probabile che con la durata della missione spaziale aumentino anche le alterazioni della vista e i sintomi dovuti all’innalzamento della pressione intracranica. Per verificarlo serviranno ulteriori studi sulle missioni di lunga durata, come quella della donna dei record Peggy Whitson, che ha recentemente completato una missione di 288 giorni sulla Stazione spaziale, e quella di Scott Kelly, che ha trascorso in orbita 340 giorni nell’ambito dello studio sui gemelli spaziali della Nasa.

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