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Libia: Tripoli in fiamme, un genocidio

(Keystone-ATS) Tripoli bombardata e centinaia di morti. Gronda sangue oggi la repressione del regime libico contro la rivolta, ad una settimana esatta dall’inizio delle manifestazioni di protesta con una drammatica svolta che tradisce però lo sgretolarsi del regime sotto il peso dell’insurrezione popolare, con voci di militari che passano dalla parte dei rivoltosi e le defezioni dei diplomatici a macchia d’olio.

Anche Muammar Gheddafi, l’inossidabile rais che ha tenuto tutto in pugno per 42 anni, sembra per la prima volta cedere, date le insistenti voci di una sua fuga verso il Venezuela che oggi ritornano alla ribalta, ma sono di nuovo smentite.

Il colonnello non si vede da giorni ed è stato il figlio Seif al Islam a parlare ieri alla nazione: “lotteremo fino all’ultimo uomo e all’ultima donna”, ha detto. Così oggi i caccia si sono alzati in volo e, ancor prima che la piazza verde fosse piena, che la marcia su Tripoli annunciata dai manifestanti fosse compiuta, hanno aperto il fuoco, uccidendo oltre 250 persone secondo al Jazira. Mentre la televisione di Stato libica annunciava la massiccia operazione delle forze di sicurezza contro “i covi di sabotatori e i terroristi”, mostrando poi immagini di manifestazioni pro-Gheddafi sulla Piazza Verde, a ripetizione.

La Libia è dunque in fiamme, tutta, da oggi brucia anche Tripoli dopo sei giorni di cruente battaglie nell’est del Paese, nella Cirenaica ‘culla del dissensò e nel suo capoluogo Bengasi. Restano tuttavia difficili da verificare la informazioni che giungono dal Paese sempre bandito ai giornalisti, se non con l’ausilio di testimoni e dei molti dei cittadini stranieri già rientrati in patria, mentre a migliaia aspettano ancora di imbarcarsi sui voli da più parte messi a disposizione per lasciare la Libia: dal personale “non indispensabile” delle molte compagnie petrolifere presenti sul territorio, a molti negli staff delle rappresentanze diplomatiche. E le comunicazioni restano difficili, con ripetute segnalazioni di linee telefoniche interrotte e sistemi di trasmissione disturbati.

Sono voci difficilmente verificabili anche quelle circolate questa mattina su un possibile colpo di stato da parte dei militari: fonti libiche hanno fatto sapere ad Al Jazira che all’interno dell’esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro il colonnello Gheddafi.

Poi il giornale Libia al-Youm che parla del capo di stato maggiore dell’esercito, Abu-Bakr Yunis Jabir, agli arresti domiciliari dopo essere passato dalla parte dei rivoltosi, sembra però confermare lo scollamento all’interno delle forze armate. Fino alla notizia, questa confermata nel pomeriggio, della diserzioni di due cacciabombardieri Mirage libici atterrati a Malta: i piloti libici a bordo hanno raggiunto l’isola senza il permesso delle autorità maltesi dopo essersi rifiutati di eseguire l’ordine di sparare sulla folla.

Defezioni a macchia d’olio invece per i diplomatici libici nel mondo: dopo le dimissioni ieri dell’ambasciatore di Tripoli presso la Lega Araba, oggi ha lasciato la delegazione libica all’Onu e il numero due della missione Ibrahim Dabbashi ha invocato un intervento internazionale contro quello che ha definito “un genocidio”. Ma anche diplomatici in Cina, Regno Unito Polonia, India, Indonesia, Svezia e Malta, hanno abbandonato la nave di Gheddafi: il chiaro segnale che se questa non sta affondando è quantomeno alla deriva.

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