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Pena morte: Onu, si punta ad ampliare fronte del no

(Keystone-ATS) NEW YORK – I progressi sono pochi ma ci sono. Il cammino rimane però lungo ed irto di ostacoli: nuovi paesi entrano a far parte dell’ampio club contrario alla pena di morte, che potrebbe passare da 106 a 108 nazioni, ma c’e anche chi frena e chi potrebbe fare marcia indietro.
Le Nazioni Unite tornano domani a discutere di pena di morte e la terza commissione dell’Assemblea Generale dovrebbe approvare un documento (da mandare poi in sessione plenaria) che riprende la storica risoluzione del 2007 a favore di una moratoria internazionale sulla pena di morte.
Tra i paesi che potrebbero fare il grande passo, nei corridoi del Palazzo di Vetro si citano le Maldive e la Mongolia (che ha introdotto una moratoria di fatto all’inizio dell’anno), ma anche il Niger e la Guinea Conakry potrebbero fare passi nella giusta direzione.
Si punta inoltre ad ottenere un numero crescente di astensioni (fino a 10) con paesi quali la Tanzania e la Repubblica Democratica del Congo. Ma sull’altro fronte c’è chi ha ripreso le esecuzioni, come il Giappone, e chi è pronto a fare marcia indietro, come il Guatemala, anche se il presidente Alvaro Colom ha posto il proprio veto alla ripresa delle esecuzioni.
Una prima versione del nuovo documento Onu, ottenuta dall’ANSA, invita tutti i Paesi che ancora ricorrono alla pena capitale a “rendere pubbliche le informazioni relative alle persone condannate, al numero di esecuzioni effettivamente portate avanti”.
È difficile stimare quante persone siano state uccise dal boia negli ultimi mesi. Lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, rileva in un recente rapporto che “molti degli Stati mantengono segreti i loro numeri, senza pubblicare statistiche ufficiali”.
Non c’è alcuna conferma ufficiale dalla Cina, che fa largo uso delle esecuzioni – si parla di centinaia e centinaia di casi – senza rendere pubblici i numeri dei condannati, anche se probabilmente il loro numero sta calando.
Secondo l’associazione ‘Nessuno tocchi Cainò, nel 2009 ci sono state 5.679 esecuzioni in 18 diversi Paesi. L’anno scorso, negli Stati Uniti, le persone uccise dal boia sono state 52 persone (a fronte di circa 3.300 che aspettano nei famigerati bracci della morte delle prigioni americani).
Secondo Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio, globalmente parlando il trend è tutto sommato positivo. Negli Stati Uniti la pena di morte è stata abolita in New Jersey e New Mexico e le esecuzioni sono ormai poche decine. Con conseguenze anche paradossali dal punto di vista dei diritti umani: in California i circa 600 ospiti del braccio della morte vivono un ergastolo di fatto (ma con un regime da condannato alla pena capitale), con rischi di bancarotta del sistema giudiziario. Tra i paesi che non hanno fatto progressi ci sono Iran ed Egitto (tra i più duri con Singapore contro la risoluzione Onu). C’è qualche miglioramento invece in Pakistan (moratoria di fatto ma oltre 7mila condannati a morte) e India (vicino ad una moratoria di fatto, ma con 200 persone nel braccio della morte).
Nel rapporto Ban rileva che, dei 192 Paesi dell’Onu, quelli che hanno abolito la pena capitale o non l’hanno praticata sono arrivati a superare i due terzi del totale. Il fronte degli oppositori rimane comunque combattivo: i più agguerriti sono 53 Paesi che hanno preparato una nota dove si sottolinea che “ancora non c’è consenso internazionale” sulla moratoria internazionale.

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