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“Il dibattito svizzero sull’Europa è vittima di un mito”

Fortezza
Il fortino Sarganserland, risalente alla Seconda guerra mondiale, sul Fläscherberg, nel Cantone Grigioni. Keystone / Arno Balzarini

Una decisione del Governo svizzero sulla politica nei confronti dell'Europa è attesa per oggi. Dal fallimento dell'Accordo istituzionale, la Svizzera ha temporeggiato. L'esperto d'Europa Gilbert Casasus ritiene che la ragione sia la mentalità della Confederazione, Paese che durante le crisi tende a chiudersi a riccio.

Gilbert Casasus, professore di studi europei all’Università di Friburgo, si descrive come un “europeista critico”. In altre parole: L’UE fa degli errori, ma per la Svizzera non c’è modo di evitarla. Il cittadino dalla doppia nazionalità svizzera e francese, che ha vissuto in Germania per 13 anni ed è perfettamente bilingue, è infastidito dall’attuale politica europea della Confederazione.

Gilbert Casasus
Gilbert Casasus è professore di studi europei e direttore del Centro di studi europei all’Università di Friburgo. Di nazionalità svizzera e francese è cresciuto a Berna e a Lione. Ha studiato scienze politiche, germanistica e storia a Lione e a Monaco. Neue Europäische Bewegung

SWI swissinfo.ch: Cosa la preoccupa del dibattito in Svizzera sull’Europa?

Gilbert Casasus: Il dibattito svizzero sull’Europa è vittima di un mito: la “mentalità del Ridotto nazionaleCollegamento esterno“. [Così si chiamava il dispositivo difensivo dell’Esercito elvetico dal luglio del 1940 all’autunno del 1944, quando, di fronte all’accerchiamento della Svizzera da parte delle potenze dell’Asse, quest’ultimo si concentrò sul presidio militare dello spazio alpino della Confederazione ndt.].  Crediamo ancora di vivere in un’area alpina segregata in cui ci possiamo trincerare. Questa mentalità è radicata in Svizzera dalla Seconda guerra mondiale, da quasi 80 anni. Da allora, ci ha impedito di aprirci, soprattutto verso l’Europa.

L’Europa si sta sviluppando: nel 1995 l’Unione europea aveva 15 membri, oggi ne ha 27. E la popolazione svizzera si comporta come chi sta sulla banchina della stazione e guarda passare il treno, ma non ha modo di salirci.

Si dice particolarmente infastidito dagli studi europei nella Svizzera tedesca. Quali sono le differenze con il resto del Paese?

Noto delle differenze tra la Svizzera francese e quella tedesca. Il tema dell’Europa è molto più popolare nella regione francofona rispetto a quella germanofona. La vicinanza a determinati Paesi ha un ruolo. Questa differenza si riflette anche nella qualità degli studi europei in Svizzera.

Lei ha detto: più stranieri ci sono, più ricco è uno Stato membro dell’UE. Non sta confondendo causa ed effetto? Più un Paese è ricco, più gli stranieri vogliono andarci?

Entrambe le affermazioni sono vere. Preferisco vivere in Svizzera, un Paese non membro dell’UE, che in Romania, che invece appartiene all’UE. D’altro canto, la storia della Svizzera – Paese d’emigrazione fino al 1860 e solo più tardi Paese d’immigrazione – lo dimostra: le persone straniere sono un investimento per il Paese in cui lavorano. Abbiamo la grande fortuna di averne tante in Svizzera. Se non ci fossero, non saremmo così ricchi.

Quindi, secondo lei, la libera circolazione delle persone aumenta la prosperità. Tuttavia, è considerata una spina nel fianco, non solo in Svizzera, che porta beneficio solo alle aziende, agli azionisti e al fisco, ma non al singolo dipendente.

Lei cita molti aspetti. Prima di tutto: ho conosciuto la Guerra fredda, non c’era la libera circolazione delle persone. Provate a dire ai cittadini e alle cittadine dell’ex Repubblica Democratica Tedesca che la libera circolazione delle persone deve essere messa in discussione. A loro, che non avevano il diritto di attraversare il confine o il muro… La libera circolazione ha a che fare con la libertà!

In secondo luogo, Lei tocca un punto che anche io critico sempre: la mancanza di consapevolezza sociale nell’Unione europea. Una delle ragioni dell’euroscetticismo è legata al fatto che l’Europa dovrebbe svilupparsi meglio a livello sociale. Il fatto che i servizi sociali siano ancora organizzati e finanziati su una base eccessivamente nazionale non è compatibile con la libera circolazione.

Anche se i salari svizzeri sono molto più generosi rispetto ad altri Paesi europei, la Svizzera non se la passa sempre bene nel confronto con suoi vicini, perché le prestazioni sociali all’estero sono molto più alte che nella Confederazione.

Negli ultimi anni – forse anche sulla scia dell’americanizzazione della politica – si è data troppa attenzione alla politica finanziaria e troppo poca alla politica sociale. L’Europa ha bisogno di una politica sociale.

Il “nodo” degli accordi bilaterali è pagante? In altri termini: a quale futuro va incontro la Svizzera andando avanti da sola?

Andare da soli non ha mai un futuro. La storia lo ha dimostrato. I Paesi che hanno tentato di farlo sono finiti in un vicolo cieco. Gli accordi bilaterali erano una fase intermedia che ha avuto un esito positivo per la Svizzera. Ora la Confederazione ha difficoltà ad accettare di doversi allontanare da un modello di successo.

Si possono mantenere gli aspetti positivi dei bilaterali, ma bisogna essere pronti a fare un passo avanti. Il rifiuto unilaterale da parte elvetica dell’Accordo quadro danneggia molto di più la Svizzera che l’Unione europea.

La Svizzera può comprarsi un'”adesione light” con ulteriori miliardi di coesione?  

Questa idea è mal vista nell’UE: “Tipico della Svizzera, credono di potersi comprare tutto”, mi hanno detto persone che lavorano nell’UE.

L’Unione europea non è una casa da gioco, è una struttura politica. È un errore di valutazione ritenere che con i miliardi di coesione ci si possa comprare un biglietto d’entrata.

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