
Perché Taiwan dovrà presto votare sul ritorno al nucleare?

A fine agosto, la popolazione di Taiwan sarà chiamata a esprimersi su un referendum per la riattivazione di una centrale nucleare recentemente dismessa. Le votazioni sull’energia nucleare implicano sempre decisioni di lungo termine e valutazioni di rischio altrettanto durature. In questo caso, il rischio riguarda anche la Cina.
Taiwan ha completato il suo percorso di uscita dal nucleare. Solo poche settimane fa, l’isola ha spento la sua ultima centrale atomica, raggiungendo così l’obiettivo di una “patria libera dal nucleare” entro il 2025, annunciato nel 2016 dal Governo di centro-sinistra del Partito Democratico Progressista (DPP).
Ora, l’elettorato dell’isola è chiamato alle urne per decidere, tramite referendum, se riattivare il reattore Maanshan-2. Ma come si è arrivati a questo punto?
Simona Grano, responsabile del Centro di ricerca sulle relazioni Cina-Taiwan all’Università di Zurigo, spiega che “l’energia nucleare è sempre stata un tema centrale nella storia di Taiwan ed è spesso stata oggetto di referendum”. La questione nucleare ha radici profonde nei contrasti politici del Paese.
Il referendum sulla riattivazione del reattore Maanshan-2 non ha raggiunto il quorum. Secondo quanto riportato dalla Commissione elettorale di Taiwan, citata dall’agenzia di stampa taiwanese CNA, circa 4,3 milioni di persone hanno votato a favore della riattivazione dell’impianto, mentre 1,5 milioni si sono espresse contro. Tuttavia, affinché il referendum fosse valido, almeno il 25% degli elettori registrati avrebbe dovuto votare a favore – circa cinque milioni di persone.
A seguito della votazione, il presidente Lai Ching-te del Partito Democratico Progressista (DPP), che nel 2016 aveva promesso l’uscita dal nucleare entro il 2025, ha dichiarato di non escludere in futuro l’utilizzo di “energia nucleare avanzata”.
Il referendum come risposta dell’opposizione
L’attuale votazione è anche una mossa strategica del partito d’opposizione Kuomintang (KMT), che ha cercato di contrattaccare attraverso strumenti di democrazia diretta. Parallelamente al referendum sul nucleare, sono stati avviati numerosi procedimenti di recall, ovvero votazioni per revocare il mandato a parlamentari eletti.
Il KMT, insieme a un altro partito d’opposizione, detiene la maggioranza parlamentare, ma questa era minacciata proprio dai procedimenti di recall. Il principale motivo per la revoca era la presunta eccessiva vicinanza di alcuni parlamentari alla Cina.
Nel tentativo di uscire dalla difensiva, il KMT ha proposto quattro temi referendari, tra cui uno sulla pena di morte. Tuttavia, la commissione elettorale ha approvato solo quello sulla riattivazione della centrale nucleare.

Il KMT ha vinto le votazioni di recall a fine luglio, evitando così la destituzione dei propri deputati. Il referendum sull’energia nucleare è ancora in sospeso, e ora è il Governo a trovarsi sulla difensivaCollegamento esterno.
Il nucleare come promessa di progresso e simbolo della dittatura KMT
La questione nucleare è strettamente legata al processo di democratizzazione di Taiwan. Il KMT, che governava Taiwan prima dell’avvento della democrazia, presentava l’energia atomica come una soluzione per trasformare l’isola in una potenza economica.
Durante il regime autoritario del KMT, i temi ambientali e nucleari offrivano all’opposizione uno spazio per criticare i progetti politici del Governo, senza attaccarlo direttamente, spiega Grano.
Negli anni Novanta, con la democratizzazione, movimenti sociali e opposizione politica iniziarono a usare la causa antinucleare come strumento di critica. Dopo il disastro di Fukushima nel 2011, l’opinione pubblica taiwanese assunse un atteggiamento fortemente contrario verso l’energia atomica.

Inoltre, la costruzione di una quarta centrale fu segnata da scandali di corruzione, e nel marzo 2013 circa 200’000 persone scesero in piazza per chiederne la sospensione.
Cosa farebbe Taiwan in caso di un blocco cinese?
All’epoca, il DPP era il principale partito d’opposizione. Dal 2016 è al Governo e ha perseguito l’uscita dal nucleare. Anche se nel 2018 una maggioranza votò per eliminare dal testo di leggeCollegamento esterno il passaggio sulla rinuncia all’atomo, il piano non è stato modificato.
Secondo Simona Grano, però, il DPP oggi è meno rigido nella sua posizione antinucleare: “I cambiamenti geopolitici globali spingono il Governo taiwanese verso un approccio più pragmatico e meno ideologico”.
Nel mix energetico di Taiwan dominano le fonti fossili: nel 2022, l’80% dell’elettricitàCollegamento esterno proveniva da carbone e gas, entrambi importati. Grano sottolinea la vulnerabilità dell’arcipelago: “Tutto viene importato. Se la Cina imponesse un blocco, Taiwan avrebbe seri problemi di approvvigionamento”.
Il carbone arriva principalmente dall’Australia e dall’Indonesia, ma anche dalla RussiaCollegamento esterno. Le tensioni con la Cina, che non riconosce l’indipendenza de facto di Taiwan, sono aumentate. Un editoriale su The DiplomatCollegamento esterno ha definito l’uscita dal nucleare un “tallone d’Achille autoinferto”, sostenendo che le centrali atomiche sarebbero le uniche infrastrutture che la Cina eviterebbe di colpire in caso di invasione.
C’è anche una dimensione economica: Taiwan è uno dei principali produttori mondiali di semiconduttori, un settore ad alta intensità energetica. Negli ultimi tempi si sono verificati diversi blackout.
Grano ritiene quindi plausibile che una maggioranza possa votare a favore della riattivazione del Maanshan-2, operativo dal 1985.
Referendum a Taiwan: più uno strumento politico che una decisione tecnica
David Huang, politologo ed ex rappresentante diplomatico di Taiwan in Svizzera fino a luglio 2025, sottolinea che i rischi naturali – come terremoti e tifoni – sono molto più elevati a Taiwan rispetto alla Svizzera.

Huang osserva però che i referendum a Taiwan sono spesso usati per definire l’agenda politica, più che per discutere il merito delle proposte. “Il referendum serve più a orientare il dibattito che a risolvere una questione tecnica”, afferma. In passato, i referendum venivano sempre abbinati alle elezioni, diventando strumenti di mobilitazione politica. Una legge del 2019 ha separato votazioni e elezioni, ma la tradizione persiste.
Anche in Svizzera, le iniziative popolari raramente hanno successo, ma servono a portare temi sul tavolo politico. I referendum, che possono bloccare decisioni parlamentari, offrono alle forze politiche l’opportunità di fare campagna.
Tuttavia, contrariamente alla Svizzera, Taiwan è una democrazia giovane, e gli strumenti di democrazia diretta non hanno ancora una lunga tradizione.
Democrazia diretta ed energia in Svizzera
La lobby pro-nucleare svizzera ha subito colto l’annuncio del referendum taiwanese per rilanciare il dibattito anche nella Confederazione. Dopo Fukushima, il Consiglio federale aveva deciso di uscire dal nucleare, e dal 2017, dopo un voto popolare, è in vigore il divieto di costruire nuove centrali. Tuttavia, recentemente, in risposta all’iniziativa popolare “Stop al blackout” il Governo ha proposto di revocare questo divieto, per affrontare possibili carenze nella transizione verso le rinnovabili.
A inizio luglio, un rapporto dell’Accademia svizzera delle scienze naturali ha mostrato che un nuovo impianto non potrebbe entrare in funzione prima del 2050, a causa dei lunghi processi politici. La politologa Isabelle Stadelmann-Steffen, che ha collaborato al rapporto, afferma che la democrazia diretta in Svizzera è “più un ostacolo che un acceleratore” nella transizione energetica.
Anche nel caso di un nuovo impianto nucleare, la popolazione dovrebbe approvare diverse decisioni fondamentali. La proposta del Consiglio federale mostra come il dibattito politico si sia evoluto. Tuttavia, secondo Stadelmann-Steffen, questo non ha modificato significativamente l’opinione pubblica: “Circa metà della popolazione è favorevole al nucleare, l’altra metà contraria”.
La posizione della popolazione svizzera dipende anche dalla fiducia: “Si è disposti ad accettare il piccolo rischio di un incidente nucleare e i possibili danni ambientali? La società è in grado di gestire le scorie radioattive?”.
A Taiwan, queste domande si intrecciano con la geopolitica: quanto è sicuro poter contare sempre sulle importazioni energetiche? Dopo le votazioni di recall, il contrattacco referendario dell’opposizione potrebbe avere successo.

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Articolo a cura di Balz Rigendinger
Traduzione con il supporto dell’IA/mar

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