Esperto: “Accordo con Usa è solo tregua, Berna di fronte a ricatto”
In materia di dazi quanto concordato con gli Stati Uniti è unicamente una tregua e la Svizzera si trova di fronte alla logica del ricatto: ne è convinto il professor Simon Evenett, grande specialista di politica commerciale.
(Keystone-ATS) La vera posta in gioco? Decidere quando il prezzo da pagare per accedere al mercato americano diventerà troppo alto.
“L’accordo è solo una tregua”, afferma il 56enne in un un’intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ). “Quanto durerà dipenderà dagli Stati Uniti. Se gli americani troveranno qualcosa che non gradiscono, aumenteranno nuovamente le tensioni. È proprio quello che stanno facendo con l’Ue, con la quale hanno concluso un’intesa simile in luglio”. Washington ha nel frattempo deciso di aumentare nuovamente la pressione sull’Ue e di avanzare ulteriori pretese. “Ciò dimostra il problema di tali accordi: comportano ulteriori richiese”.
“Ma l’Unione europea, grazie alle sue dimensioni, è anche più forte e ha maggiori possibilità di esercitare una contro-pressione. In questo senso, gli americani hanno più rispetto per le misure adottate nei confronti di Bruxelles che per quelle decise contro la Svizzera. Se nella politica estera o economica si presenta qualcosa che gli americani vogliono, avanzeranno delle richieste: una volta che la Confederazione ha pagato una volta, potrà essere chiamata a pagare più volte”.
“Inoltre l’annuncio della scorsa settimana è solo una dichiarazione d’intenti non vincolante: è fuorviante parlare di un accordo definitivo. Questa tregua non è nemmeno un accordo commerciale nel senso tradizionale del termine”, argomenta il docente all’Institute for Management Development (IMD) di Losanna. “L’America non è interessata a nuovi accordi di libero scambio, ma solo a misure unilaterali di apertura da parte dei partner commerciali. Gli Stati Uniti sono chiari al riguardo: vogliono accordi in cui sia la controparte a fare tutto il lavoro. Se qualcuno a Berna crede che l’accordo possa sfociare prima o poi in un trattato di libero scambio si sbaglia”.
E se il presidente Donald Trump – chiede il giornalista NZZ – fosse sostituito da un democratico al termine del suo mandato? “Allora la situazione peggiorerebbe ulteriormente. Prendiamo ad esempio Barack Obama o Joe Biden: i presidenti democratici non richiedono mandati per accordi di libero scambio durante il loro primo mandato. Non accade dai tempi di Bill Clinton. Il motivo: nel partito democratico i sindacati combattono senza tregua contro il libero scambio”.
Ciò che rende straordinario l’accordo con la Svizzera è anche l’intenzione di eliminare il deficit commerciale degli Stati Uniti nel comparto dei beni entro il 2028: l’impegno a ridurre il disavanzo si ritrova anche in altri trattati, ma è “molto insolito che venga indicato un termine concreto”.
Washington – fa notare il cronista – deve essere consapevole che Berna non può garantire il rispetto di questa promessa: la bilancia commerciale è il risultato delle decisioni prese da aziende private. “Per lei e per me questo è chiaro”, replica l’intervistato. “Ma il governo americano non accetta questa argomentazione, almeno non pubblicamente. Sottolinea che la politica statale influenza le decisioni delle aziende. E per questo chiede alla Svizzera di pareggiare la bilancia commerciale entro il 2028”.
Spesso si dice che la Confederazione sarebbe in una posizione migliore se si presentasse insieme all’Ue nei confronti degli Usa, è vero? “No”, risponde il cittadino britannico. “Ed è evidente quale sia il motivo nascosto dietro tali idee. Si tratta solo di un ulteriore tentativo di giustificare l’adesione all’Unione europea. Se le stesse persone avessero proposto che la Svizzera si alleasse con l’Ue, il Regno Unito, il Giappone, la Corea, il Canada e il Messico sarebbe stato più credibile”.
Secondo Evenett nei prossimi mesi l’Ue sarà sottoposta a forti pressioni da parte di Washington a causa della sua regolamentazione delle catene di approvvigionamento, dell’applicazione delle sue leggi digitali e della compensazione delle emissioni di CO2. “La Svizzera non è coinvolta in queste questioni: il dazio doganale del 15% attualmente richiesto dagli Stati Uniti all’Ue potrebbe presto aumentare in modo significativo”. A suo dire Bruxelles deve aspettarsi dazi più elevati rispetto alla Confederazione.
La Svizzera può sperare in un’ulteriore riduzione dell’aliquota doganale del 15%? “I dazi diminuiranno solo se gli Stati Uniti, per ragioni di politica interna, giungeranno alla conclusione che ciò consentirà di ridurre il costo della vita. Ciò non ha nulla a che vedere con quanto affermano Berna o Bruxelles. L’unico fattore determinante è l’impatto che la situazione avrà sugli elettori americani”.
Cosa succede se la Corte Suprema dichiara illegali i dazi di Trump? “Se la corte annulla i dazi reciproci, anche quelli previsti dalla dichiarazione d’intenti saranno illegali e verranno aboliti. Ma il governo statunitense potrà reintrodurre una tariffa del 15% con una nuova motivazione per 180 giorni, per tutti i paesi. Dopodiché avrà altri 180 giorni di tempo per trovare una nuova motivazione. Gli strumenti giuridici a disposizione sono sufficienti. Concretamente, la sentenza avrà poche conseguenze, ma ci sarà un gran teatro”.
La Svizzera non deve inoltre pensare di guadagnare tempo e sperare che il problema dei dazi doganali scompaia con Trump. “Ricordate: i dazi introdotti da Trump contro la Cina durante il suo primo mandato sono stati mantenuti anche da Biden. Inoltre, l’esperienza storica dimostra che se i dazi americani non vengono aboliti entro due anni, rimangono in vigore a lungo. L’unica possibilità realistica per ottenere una riduzione è che gli Stati Uniti vogliano contenere l’inflazione e il costo della vita, e non perché sta per insediarsi un nuovo presidente”.
Che cosa dire dei 200 miliardi di dollari di investimenti negli Usa, che però devono essere messi a disposizione da privati? “C’è il rischio che gli americani a un certo punto dicano: non avete mantenuto la promessa”, osserva l’esperto. “Ma in realtà questo non ha molta importanza. Perché l’attuale governo statunitense può sempre trovare un pretesto. In questo senso, non si può criticare i negoziatori elvetici per aver concesso la garanzia di 200 miliardi. Se questo impegno verrà utilizzato contro la Svizzera dipenderà esclusivamente dagli americani. Se cercheranno un motivo per aumentare i dazi doganali, lo troveranno. Non stiamo parlando di negoziati classici, ma di ricatto”.
“Nel caso di ricatti, la controparte avanzerà sempre nuove richieste, indipendentemente da quanto si conceda”, sostiene lo specialista. “Se si hanno dazi elevati e li si abbassa, arriverà qualcos’altro, e così via. Il dibattito pubblico si concentra troppo sui dettagli e trascura il quadro generale: i paesi che vogliono accedere al mercato statunitense vengono ricattati. Pertanto, come governo, ci si deve sempre chiedere a che punto il prezzo diventa troppo alto”. Al momento per la Svizzera il prezzo è solo sgradevole. “Ma a un certo punto può essere una decisione responsabile rifiutare il gioco e distanziarsi dagli Stati Uniti”, conclude Evenett.