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Un voto realista sull’Europa

La maggioranza degli svizzeri ha approvato il sostegno alle economie dell'Europa orientale. Nella foto, gasdotto in Slovacchia Keystone

Gli svizzeri non abbandonano la via delle buone relazioni bilaterali con UE e approvano, anche se di stretta misura, la Legge sulla cooperazione con l'Europa dell'est.

Il sì al «miliardo di coesione» non è certo la prova di un grande entusiasmo per il processo di integrazione europea. Ma ancora una volta il riflesso antieuropeista della destra nazionalconservatrice non ha convinto la maggioranza.

Difficile scacciare la sensazione di déjà-vu, in questo fine settimana di votazioni in Svizzera. Ancora una volta le cittadine e i cittadini svizzeri erano chiamati ad esprimersi su un tema di politica estera, legato al processo di integrazione europea.

Come già in giugno e in settembre dello scorso anno, in occasione delle votazioni sull’adesione agli accordi di Schengen e Dublino e sull’estensione della libera circolazione delle persone ai nuovi stati dell’Unione europea, il risultato del voto non era per nulla scontato.

La destra nazional-conservatrice appariva ancora una volta in grado di mobilitare una parte consistente dell’elettorato, facendo leva sui sentimenti indipendentisti e euroscettici profondamente radicati nella popolazione elvetica. E i sondaggi non offrivano ai fautori di un avvicinamento all’Europa appigli per dormire sonni tranquilli.

Il «no» rimane forte

Anche questa volta gli antieuropeisti non sono però riusciti a far breccia, pur ottenendo un risultato di tutto rispetto. Il 46,6% di «no» ad una partecipazione svizzera agli sforzi europei per sviluppare l’economia e le infrastrutture dei nuovi paesi membri dell’UE è un segnale chiaro rivolto a chi ancora spera in un’integrazione più ampia e rapida nell’Europa unita.

La percentuale di sì (53,4%) è anzi inferiore a quelle dello scorso anno (54,6% per Schengen e 56% per la libera circolazione). La cautela nel celebrare un nuovo spirito europeista in Svizzera è perciò d’obbligo, ancor più di quanto lo era lo scorso anno.

Di certo, nessuno scenderà in strada a festeggiare la vittoria del sì sventolando la bandiera stellata dell’Unione europea. Il risultato scaturito dalle urne non testimonia di alcun particolare entusiasmo per il progetto europeo. Rispecchia piuttosto la scelta pragmatica di un piccolo paese abbastanza realista da sapere che la partecipazione a pieno titolo ai mercati dei nuovi paesi UE ha il suo prezzo.

Una maggioranza francofona e cittadina

La sensazione di déjà-vu si ripresenta anche se si osserva la carta del voto. Come già in occasione della votazione su Schengen, anche il «miliardo di coesione» ha raccolto consensi soprattutto nei cantoni della Svizzera francese e negli agglomerati urbani (un’eccezione questa volta è costituita dal sì nei Grigioni), mentre il no ha prevalso nella Svizzera centrale e orientale e in Ticino.

Sembra questa ormai una topografia elettorale consolidata, che riproduce l’immagine della maggioranza disposta a seguire il governo e il parlamento nel cauto cammino dell’integrazione in Europa. Una maggioranza però non sufficientemente robusta da mettere al riparo da ogni possibile sorpresa.

In questo senso la destra nazional-conservatrice e in particolare l’Unione democratica di centro (UDC) – che pure in un primo tempo non si era fatta conquistare dall’idea di lanciare un referendum contro il «miliardo di coesione» – segnano di nuovo dei punti a proprio favore, pur uscendo sconfitte dalle urne.

Vittorie difficili

In effetti l’UDC non è più riuscita a vincere una votazione sulla politica estera dal lontano 1992, se non alleandosi agli altri partiti borghesi. Ma gli echi del terremoto politico del 1992, quando l’UDC riuscì praticamente da sola a impedire l’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo, risuonano ancora.

La capacità del partito di mobilitare poco meno della metà dei votanti contro quasi tutti i progetti di avvicinamento all’Europa continua a influenzare pesantemente la politica estera elvetica. E indubbiamente continuerà a farlo anche nei prossimi anni.

La maggioranza favorevole alla via bilaterale ha però vinto tre votazioni difficili nell’arco di due anni. E questo non è poco, in un’epoca in cui il progetto europeo non suscita molti entusiasmi neppure nei paesi membri dell’UE.

swissinfo, Andrea Tognina

Legge sulla cooperazione con gli Stati dell’Europa dell’Est: 1’158’442 di sì, 1’010’255 di no, accettata dal 53,4% dei votanti.
Percentuale più alta di sì: Vaud, con il 61,5%
Percentuale più alta di no: Glarona, con il 64,4%.

Dal 1990, la Svizzera ha sostenuto la transizione democratica e lo sviluppo economico nei paesi dell’est europeo con circa 3,5 miliardi di franchi.

Nel maggio del 2004 sono entrati a far parte dell’UE 10 nuovi Paesi, con i quali la Svizzera ha concluso accordi bilaterali. L’UE ha chiesto alla Svizzera di sostenere finanziariamente anche questi nuovi stati membri, un sostegno approvato dal parlamento elvetico in primavera.

Il miliardo versato dalla Svizzera sarà suddiviso in rate da 100 milioni di franchi su di un periodo di 10 anni. Circa la metà della somma dovrebbe essere stanziata a favore della Polonia.

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