Nel 1986, giovane fisico presso il Dipartimento dell’ambiente del Canton Ticino, Mario Camani si era ritrovato in prima linea per rispondere alle domande dei giornalisti e alle preoccupazioni della popolazione dopo la catastrofe nucleare di Chernobyl. In un’intervista a swissinfo.ch, Camani rievoca questa esperienza. (Carlo Pisani, swissinfo.ch)
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Nato in Italia e cresciuto in Africa, ora chiamo casa la Svizzera. Ho studiato regia alla Scuola Nazionale di Cinema e ho lavorato come montatore e regista/produttore di documentari a Berlino e Vienna. Sono specializzata nella creazione di narrazioni multimediali coinvolgenti.
Nei giorni seguenti l’incidente nucleare del 26 aprile 1986, una nube radioattiva raggiunse anche diverse parti dell’Europa occidentale. In Svizzera, a causa delle condizioni meteorologiche, in particolare delle forti piogge, il Canton Ticino fu la regione più colpita dalla ricadute radioattive provenienti dalla centrale atomica.
L’allarme radioattività mobilitò per mesi le autorità politiche federali e cantonali, colte alla sprovvista nell’organizzazione dell’informazione alla popolazione. Nel Canton Ticino, ad assumere questo compito fu soprattutto un giovane collaboratore del Dipartimento dell’ambiente, Mario Camani, allora responsabile della protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo.
Come fisico, Camani si era già occupato di radiazioni. Subito dopo il disastro nucleare, le autorità cantonali gli affidarono l’incarico di rispondere ai numerosi interrogativi suscitati da questo evento e di guidare un gruppo incaricato di monitorare la contaminazione del suolo e l’impatto sui prodotti alimentari.
Il settore umanitario ha ancora un futuro? Come dovrebbe essere?
Diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti e la Svizzera, hanno tagliato i loro bilanci per gli aiuti, facendo precipitare il settore in una crisi esistenziale. Di fronte a questa situazione, quali strade dovrebbero esplorare gli umanitari? Vorremmo sentire il vostro parere.
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